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Boris Vallejo
Icarus

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Vorlando
Capitolo 1
A Marina Joffreau
carissima e preziosissima amica
con infinita gratitudine per la sua sincerità e lealtà

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Il sole tingeva appena il cielo ad oriente e già Vorlando si dirigeva verso il Nido, dove gli anziani della Gilda dei Volatori avrebbero quel giorno vagliato il suo diritto alle ali.
Vorlando rabbrividì un poco mentre ad un soffio di aria gelida sentiva le sue ali fremere dal desiderio del cielo, ma ancora non osava tentare le vie del vento senza il voto favorevole degli anziani, né del resto temeva di fallire il primo volo, nei suoi geni era impresso atavicamente ogni rudimento, e lui sapeva bene che quando sarebbe stato il momento le sue ali avrebbero catturato il vento e le nubi avrebbero ascoltato i suoi antichi canti del vecchio mondo.
Vorlando assaporò l'aria frizzante del mattino mentre saliva la rocca che portava al Nido, ma a metà del Ponte di Brina si arrestò di scatto, in basso tra le rocce tinte di rosso spiccava immobile un corpo, subito girò la testa dalla parte opposta, sapeva bene il perchè, lì in basso vi era qualcuno - forse della sua stessa covata - a cui gli anziani avevano negato il diritto alle ali. Scosse la testa, era una legge dura, ma era la legge della Gilda, al volatore rifiutato dovevano essere amputate le ali e nessuno dei rifiutati aveva avuto poi il coraggio di esporre al pubblico scherno dei miseri moncherini dove un tempo spiccavano soffici ali bronzee, anche Vorlando avrebbe fatto altrettanto se non fosse stato accettato, vedere i suoi coetanei prendere il volo ridenti mentre lui rimaneva condannato alle rocce era troppo per un volatore, temeva l'esame della Gilda, ma sapeva che nessuno del suo clan aveva mai fallito la prova, quindi, nemmeno lui avrebbe fallito!
Tirò un profondo sospiro ed entrò nel Nido a testa alta.
All'entrata due alati a braccia conserte vestiti con il kilt dei colori rituali della Gilda dei Guardiani gli sbarrarono il passo.
«Chi sei tu che osi entrare nel Nido senza avere sulla fronte la fascia di Alato?» chiese il primo.
«Sono venuto a chiedere agli anziani il diritto di schiudere le ali.» rispose Vorlando.
Il secondo scosse la testa e sussurrò «Non il diritto, piccolo sciocco, il dono, tu non hai ancora alcun diritto.»
Vorlando trasalì, era appena entrato e già aveva sbagliato una delle risposte del rito, con voce fievole ripetè la richiesta e questa volta fu il secondo a interloquire.
«Cos'hanno di speciale le tue ali per meritare tale dono?
Sono forse più soffici, hanno forse le piume dal colore più bronzeo? Rispondi!».
«Io sono figlio di Volatori e da ben dodici covate nessuno del mio clan è tornato dal Nido privo delle ali.».
«Ottimo - annuì il primo - ma ciò ti rende forse più degno del dono?»
Vorlando scosse la testa umilmente e riprese «La dignità dei miei Maggiori non mi rende più degno del Dono, ma se rifiutato salterò dal Ponte di Brina affinchè la dignità del mio clan resti intatta.»
«Allora entra, gli anziani ti attendono per decidere cosa fare delle tue ali, se farle schiudere o se mozzarle per indegnità.»
Si scostarono all'unisono ed il secondo, con sorriso obliquo sollevò un lembo della tenda di piume schiudendo di fronte agli occhi del giovane alato la segreta sala degli Anziani.
Un anziano dalle ali bianche come neve, ma flaccide per gli anni lo additò all'assemblea «Fratelli alati, abbiamo un nuovo postulante, egli è Vorlando del Clan Vortex, antica ed onesta stirpe di Volatori, dobbiamo noi dare anche a questo pulcino il diritto alle ali? Fratelli alati non vi impressioni il nome del Clan, giudicate senza timore, questo giovane postulante - fece una pausa studiata poi riprese - questo giovane che parlando con alcuni suoi amici ha osato contestare il diritto degli anziani ad assegnare il Dono del Volo...»
Vorlando impallidì di colpo e sgomento guardò i membri dell'assemblea tra i quali scorgeva il suo stesso padre, come facevano gli anziani a sapere quella sciocchezza di quasi due anni prima? Lui non aveva contestato la legge del suo popolo, era stato frainteso, lui avrebbe voluto volare subito quando le sue ali erano pronte, non attendere altri due anni, lui aveva contestato l'inutile attesa della maggiore età, era d'accordo sul giudizio, ma non su un'attesa che allora gli sembrava inutile, ma ora che era cresciuto, capiva l'attesa, non distratto dal caprioleggiare tra le nubi si era gettato a corpo morto nello studio per assopire il desiderio del volo ed oggi - primo del suo corso - era pronto a prendere non solo il Dono ma anche un degno posto nella sua società, possibile che quella frase imprudente di tanto tempo prima potesse distruggere tutti i suoi sogni? Fortunatamente - si rinfrancò - il suo stesso padre sedeva in assemblea e di sicuro avrebbe trovato il modo... ma ecco era proprio suo padre che si stava alzando per prendere la parola.
«Io sono il capo del Clan Vortex - cominciò con voce pacata - nel mio clan non vi sono mai stati ribelli alla Legge del Nido, giudicate liberamente questo Vorlando che si fa scudo del nome del mio clan per non subire la giusta punizione per le sue parole ribelli, nel mio clan io non conosco alcun Vorlando, qui vi è solo un criminale che merita un'esemplare punizione.» poi sedette senza nemmeno fissare il giovane.
Vorlando era impietrito dallo stupore, il suo stesso padre lo condannava, come era possibile? Aveva le lacrime agli occhi per l'umiliazione e non tentò neppure di ribellarsi quando due carnefici incappucciati di grigio si fecero avanti per prenderlo in consegna, tutto ciò che riusciva a pensare era che le sue ali non avrebbero mai vibrato nel vento, che le sue piume color bronzo non si sarebbero mai inumidite attraversando una nube, che tra pochi istanti lui sarebbe stato sul Ponte di Brina, pronto a raggiungere in quell'unico volo senz'ali lo sfortunato che lo aveva preceduto in mattinata.
Il rasoio del carnefice scintillò alla luce delle torce e Vorlando chiuse gli occhi per non vedere, mordendosi a sangue le labbra mentre la lama tagliava i tendini con un movimento fluido e sicuro. Il dolore era feroce, ma più straziante del dolore fisico era quello dell'anima, lui non era degno del Dono del Volo, lui non avrebbe mai volato assieme agli altri della sua covata, che senso poteva ancora avere la vita per un relitto come lui? Con fierezza trattenne le lacrime, con fierezza trattenne in petto il grido di disperazione quando il carnefice cominciò a sradicare l'altra ala, poi gli cosparsero i moncherini di un inutile cicatrizzante ed uscirono in silenzio lasciandolo solo con la sua vergogna.
Le sue belle ali giacevano in terra, inutili ed insanguinate, le accarezzò con dolcezza e una piccola piuma dorata e scintillante gli rimase tra le dita, i suoi sogni piu' belli erano svaniti. Su un canterano i carnefici avevano deposto una tunica grigia, la tunica dei reietti, con cui nascondere la schiena dilaniata, la calzò con tristezza, l'ultima volta che aveva coperto la schiena era stato il giorno prima che si schiudessero le gibbosità delle sue ali in formazione, quasi dieci anni prima, dopo di che lo splendore delle sue ali non era mai stato nascosto neppure da un mantello ed ora... ed ora era tornato alla tunica, ma a differenza di allora non poteva neppure sognare un futuro di volatore. A capo basso tornò nella sala del consiglio per ascoltare il verdetto finale dell'anziano.
Questi stava colloquiando con il padre del giovane, quando questi fece ingresso nella sala, i due uomini continuarono a parlare con studiata indifferenza e suo padre rise di gusto ad una battuta dell'anziano, poi con fastidio questi finse di accorgersi solo allora che Vorlando era di nuovo in sala e si diresse al leggio, sfogliò ostentatamente il Libro, poi sentenziò, «Questo consiglio giudica il senza clan Vorlando indegno del Dono, indegno di appartenere a clan o gilde, indegno di eredi o di creare un suo proprio clan, indegno di parlare o rivolgere la parola ad altri che non siano reietti come lui, indegno di camminare per le strade di questa città, indegno del nome che porta che sarà disponibile per un altro pulcino di sicuro più meritevole. In quanto indegno del Dono esso è stato privato delle ali, in quanto indegno di procreare esso è stato sterilizzato con lo stesso cicatrizzante spalmato sui moncherini, in quanto indegno di vivere in questa città due sono le scelte possibili: l'esilio o il volo senz'ali... - poi si rivolse a lui con maligno sarcasmo - Spassionatamente ti consiglio quest'ultima scelta, almeno potrai provare cosa hai perso...» rise ed il consiglio rise con lui, e con lui rise il suo stesso padre.
L'anziano gli indicò la porta ed assieme ad altri sei consiglieri - tra cui spiccava suo padre - lo condusse sul Ponte di Brina, poi riprese con tono irridente, «Amavi tanto parlare, allora vuoi degnarti di comunicarci la tua scelta, reietto? O dobbiamo scegliere noi per te?» gli indicò la spalletta del ponte, come se fosse naturale per lui che il reietto scegliesse il volo senz'ali, allora Vorlando ebbe un moto di ribellione, per l'ingiustizia subita e per il disprezzo che scorgeva sui volti che lo circondavano e anche menomato decise di vivere per vendicarsi un giorno - se mai un tal giorno fosse venuto - sollevò la testa e con aria di sfida si rivolse a tutti fissando il padre con orgoglio «Non ho mai parlato contro la legge degli anziani, ho subito un ingiusta punizione senza che un'adeguata colpa la giustificasse, scelgo di vivere - un brusio di incredulità si diffuse tra gli anziani - sì, di vivere e non occorre che mi esiliate sono io ad abbandonare voi, le vostre leggi stolte e crudeli, la vostra altezzosa presunzione, il vostro stupido orgoglio...»
«Fate tacere quell'aborto!» ringhiò suo padre, ma Vorlando scosse la testa ed allontanandosi da loro rivolse un ultimo monito all'assemblea «Un giorno io, Vorlando il Senz'ali volerò più in alto di voi, volerò là dove nemmeno il più abile di voi potrà mai sperare di giungere, oltre la più alta delle montagne, oltre la più lontana tra le nubi, io volerò tra le stelle!»
Risero, dapprima in sordina, poi sempre più forte, senza alcun ritegno e lui si allontanò amareggiato, le sue parole aveva ottenuto solo scherno e del resto sapeva bene anche lui quanto fosse insensata la sua minaccia, era stato solo un orgoglioso sfogo, senz'ali non avrebbe neppure potuto sollevarsi oltre la cima del più basso degli alberi... raggiungere le stelle poi... che idea assurda!
Camminò in silenzio per tutto il giorno, cercando di non pensare alla sua sventura ed al calar della notte raggiunse una piccola altura dove decise concedersi un pò di riposo. Era ormai molto lontano dal suo villaggio e nel dormiveglia ebbe una strana sensazione che le sue avventate parole un giorno si sarebbero realizzate, non sapeva, non immaginava come e neppure in che modo avrebbe volato tra le stelle ma oscuramente sapeva che quel giorno sarebbe alla fine venuto.
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Questo capitolo, scritto nel febbraio 1991, rimase per lungo tempo senza seguito e costituisce il primo capitolo di un secondo romanzo tutt'ora da finire.

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Il brano in background è Lothlorien di Enya from Shepherd Moons,
seq. Jeremy Ho and R.R.R. Phang.

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La traduzione è di Gianpaolo Brignolo

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