IIº
Tantum Ergo


Michael Whelan - The Ultimate Sandbox - 19.904 bytes

Michael Whelan
The Ultimate Sandbox


Le solite malelingue dicono che io sono una persona decisamente malvagia, priva di cuore, avaro, menefreghista e misogino. Posso assicurare che sono solo volgari calunnie e che nessuna persona è mai stata tanto disponibile ed affettuosa come lo sono io.
Indubbiamente a volte sono un pò scontroso, ma senza cattiveria, decisamente non sono molto amabile con i bambini, ma solo con i mocciosi viziati e rompicoglioni, a differenza di tanti che passano agli occhi di tutti per genitori esemplari io non tratto i bambocci come ritardati mentali "Coccolino di mamma ora mammina ti dà la pappina buona... vola vola l'aeroplanino..."... detesto queste smancerie che oltretutto sono umilianti per la personalità in formazione del bamboccio, lui si sente grande e vorrebbe esser trattato da pari a pari, non come un povero demente, indubbiamente lo è ma perché frustrarlo fin dall'infanzia? Quando insegnavo scacchi in terza elementare trattavo i miei giovani allievi come miei pari, se si comportavano male mi limitavo ad un discorso di etica piuttosto che assegnare inutili punizioni, loro mi ascoltavano e capivano, mi rispettavano perché li trattavo come adulti ed ero il solo a farlo.
Ben diverso il discorso con i bambini viziati da genitori che han troppo da fare e che credono di far bene dando loro mano libera in ogni loro assurda pretesa, non è con costosi ed assurdi regali che si fa loro del bene, tutt'altro...
La mia adorabile nipotina in un certo senso rientrava in questa categoria, il padre ingegnere nucleare, la madre avvocatessa, una bella casa e tanti soldi, come risultato la bambina adorabile già a pochi anni non esitava a chiedere in dono le cose più strane e sicuramente più costose, non per sua colpa ovviamente, infatti ho sempre sospettato che fosse la madre a scegliere per lei e che lei a sua volta accettasse di buon grado dato che adorava i genitori e soprattutto la madre.
Con sgomento assistevo a questa metamorfosi e i miei regali di natale rischiavano di prosciugarmi la tredicesima!
Il mio modesto stipendio non mi consentiva di sperperare denaro in modo insensato ma per qualche inconoscibile motivo mi rassegnavo a questi indecorosi salassi ben sapendo che quei doni oscenamente costosi dopo un primo iniziale entusiasmo sarebbero stati messi da parte in una stanza che straripava di ogni ben di dio!
A volte tentavo di ripiegare su qualcosa di intelligente e un pò meno costoso ma stranamente mia cugina mi preveniva sempre indicandomi quasi per caso un oggettino di cui la piccola aveva assooooooolutamente bisogno! Ovviamente se la necessità era tale avrebbero potuto pensarci i genitori che in due si cuccavano ogni mese un importo pari a 4 o 5 volte il mio sudato stipendio, ma non c'era modo di farlo capire.
Ad un natale ad esempio la madre mi consigliò un attaccapanni per la cameretta con una testa d'orso in peluche, rabbrividii vistosamente e tentai una patetica e vile via d'uscita.
«Beh se lo trovo da qualche parte perché no? Non ho idea dove cercare ma guarderò un pò in giro.» Mentalmente mi stavo preparando una scusa del tipo - ho cercato ma davvero nulla da fare, ho ripiegato su questo... - ma lei prevenne ogni mia possibile futura obiezione replicando.
«Non preoccuparti di questo l'ho già visto qui vicino e alla piccola piace taaaaaanto!»
Deglutii con un leggero rantolo, conoscevo bene i negozi frequentati da mia cugina e sapevo bene che un centone sarebbe stato a malapena sufficiente. Oggi un centone sembra cosa da poco ma a quell'epoca era una fetta consistente della mia tredicesima, all'epoca infatti (parlo degli anni 80) guadagnavo 550.000 al mese e la tredicesima scontava pesantemente il conguaglio fiscale che l'inetto commercialista del notaio dove lavoravo caricava sulla tredicesima, rendendo non facile l'ingrato compito di sobbarcarmi le folli spese per i regali ai parenti. Un centone solo per il regalo alla bimba voleva dire dilaniare la tredicesima disponibile ed un addio - flap flap - a qualcosa di bello su cui avevo da tempo messo gli occhi e che sognavo di donarmi appunto con la tredicesima.
Mi rassegnai e chiesi dove fosse il maledetto negozio, mi indicò un'itinerario da labirinto di Arianna che rischiava di farmi perdere senza scampo nei dintorni dell'università, tentai di memorizzare il percorso ben sapendo quanto fossi inetto ad orientarmi nella zona e mi avviai con molta preoccupazione.
Dopo aver girovagato per un'ora finalmente raggiunsi il negozio, lo sguardo agli oggetti in vetrina mi mozzò il fiato, i prezzi erano assurdi e rovinosi, tastai ansiosamente il portafoglio dove l'intatta tredicesima attendeva in un cantuccio un consistente smembramento ed entrai nel locale.
«Dovrei fare un regalo alla mia nipotina, un attaccapanni con la testa d'orso in peluche per la sua cameretta, ma non mi sembra di vederlo in giro...»
Assurdamente sperai che li avessero terminati dato che mancavano pochi giorni a Natale, ma fui subito disilluso, il commesso estenuato dalla lunga serie di clienti spendaccioni lanciò una voce ad un altro nel retrobottega «Ah Nandooo er signore vo' 'n'orso, c'avemo 'n pajo de quei cosi de la' fajeli vede» storsi la bocca il tono burino che contrastava con i prezzi osceni del negozio mi fece capire che non c'era possibilità di ottenere sconti e che il fottuto orso era disponibile.
Nandoooo - come lo aveva chiamato l'altro - mi fece vedere l'oggetto.
«So' morto belli ai regazzini piacciono 'n frego!» mi indicò due obbrobri giganteschi con un capoccione peloso di un gusto pacchianissimo a mio avviso, mi chiedevo come mai a mia cugina piacesse tanto, considerato che aveva gusti alquanto raffinati quando si trattava di spendere per lei, oltretutto il negozio a dispetto dei prezzi assurdi era indubbiamente un ambiente alquanto volgare, il greve romanesco dei commessi lo squalificava impietosamente, sperai per un'attimo che il prezzo fosse almeno più contenuto del temuto, ma quando guardai l'etichetta del prezzo mi sentii venir meno.
180.000 secche! La mia tredicesima sarebbe stata spazzata via quasi per intero!
Tentai un patetico «Ovviamente posso contare su un adeguato sconto!»
«Prezzi fissi signo' noi ch'avemo 'na clientela scicche e raffinata, 'n famo sconti, o so pija o arza i tacchi, 'n ch'avemo tempo da perde se 'n cia li sordi.»
Ero davvero tentato di alzarli i tacchi ma poi che raccontavo a mia cugina?
«Nessun problema - dissi astiosamente - incarti quello bianco.»
Avevo scelto quello bianco perché mi sembrava un pochino più elegante, anche se avevo i miei dubbi che un orrore simile potesse definirsi un regalo di classe.
Uscii dal negozio in preda al malumore, l'attrezzo pareva riempito con piombo fuso, pesava un accidenti ed oltretutto con tutte le giravolte fatte avevo perso come prevedibile l'orientamento, la gente per strada mi guardava sghignazzando, capivano il mio tormento dato che presumibilmente ci passavano pure loro e per una vittima è sempre un gran sollievo vedere un altro in analoga se non peggiore situazione.
Reagivo con sguardi feroci e arrancavo posando ogni cinque passi il mostro per riprendere fiato, l'attraversamento di un grosso viale fu un vero incubo, gli automobilisti si affacciavano per fare sarcasmi «Aho! A Tantum Ergo che te sei perso la processione? Daje co' quer coso che sto a mette li cicci.»
Ignoravo con disprezzo le battute soprattutto quelle oscene «Che d'è? 'n dirdo pe' tu moje?» e mi trascinavo con il peloso lungo l'interminabile percorso.
C'è romanesco e romanesco, quello raffinato del Belli e di Pascarella, quello comico e fiabesco del Trilussa, ma a Roma i pochi romani superstiti si ostinano chissà perché ad usare solo il garbatellese, ovvero il romanesco più coatto, quello in uso nel quartiere popolare della Garbatella, forse per indicare con snobismo che tra tanti albanesi, siciliani, somali, zairesi, napoletani, filippini che infestano la capitale, loro e solo loro sono i veri depositari di un grande ed epico passato.
Ovviamente mi ero perso e cercai ansiosamente un pizzardone (così chiamiamo a Roma i vigili) per chiedere dove dannazione fosse la direzione giusta per via Catanzaro, ovviamente a Roma i pizzardoni compaiono misteriosamente da una porta extradimensionale, dove vivono in torpido letargo, solo quando devono affibbiare una multa ad un povero cristo che per un minuto si è fermato in seconda fila, o alla befana quando in ossequio ad una vecchia tradizione romana vengono riempiti di panettoni, torroni e spumanti invece di pernacchie o vaffanculo. Quindi cercai ansiosamente una macchina in seconda fila certo di veder balzar fuori il vigile, ma era vana speranza, le uniche in seconda fila erano mercedes, alfette e persino una porsche, ovvero quelle dei soliti ruffiani, mezzani, politici, parassiti e figli di papà, gli intoccabili insomma, in Italia infatti la legge conta solo per chi non può versare bustarelle o leccare il posteriore al potente di turno. Nessuna 126 in seconda fila, quindi niente pizzardone.
Chiesi ad un giornalaio, lui mi guardò con un profondo senso di pietà e partecipazione e mi disse quietamente «Sei fuori strada e di parecchio, è dalla parte opposta a quella cui eri diretto - guardò il totem che trascinavo con me e aggiunse - regalo per il nipotino?»
«Nipotina...» rantolai.
«Ti capisco sai? A miei tempi ci accontentavamo di un paio di scarpe nuove o un album da colorare, ora invece... ne so qualcosa, tra figli e nipoti anche io...»
«Anche ai miei tempi - ansimai - io sognavo il meccano, ma era una spesa assurda per i miei che ritenevano più saggio mettere mille lire in un libretto, in modo che una volta grande...»
«E da grande lo hai visto sto' libretto?»
«Mai visto!»
«Come te capisco!»
Guardò la mia aria affranta e aggiunse.
«T'andrebbe un caffè?»
«Magari - esalai - un cappuccino sarebbe ancora meglio»
«Dai siediti ner chiosco, 'sto fregno po' sta' qui fori tanto nessuno se lo ruba.»
Annuii con gratitudine e lui chiamò il bar col cellulare.
«A Cesare portame 'n caffè e 'n cappuccino e de corsa, 'n fa er solito tuo.»
«Offro io naturalmente!»
«Lassa sta' me vengono i brividi a pensa' a quanto t'hanno spillato per quer coso, non vado in rovina per un cappuccino e te l'offro volentieri.»
Rinfrancato dal cappuccino e dal riposo ripresi il cammino dopo aver ringraziato il gentile edicolante, dispiaciuto di non poter fare di più per manifestare la mia gratitudine.
«Semo tutti nella stessa barca e se non ci aiutiamo tra di noi!»
Insomma alla fine dopo aver camminato per chilometri ed aver chiesto a non meno di venti persone la conferma che effettivamente mi dirigevo verso via Catanzaro alla fine intravidi in lontananza l'ufficio postale di Piazza Bologna, ero di poco fuori rotta, ma ormai mi ci ritrovavo, le mani erano due spugne, nonostante fosse dicembre ero sudato come una iena!
L'unico conforto era che mi sarei trattenuto a pranzo e che avrei avuto il tempo di riprender fiato prima di tornare a casa mia.
Ovviamente avevo ancora un bel pezzetto di strada da percorrere e non vedevo l'ora di scaricare quell'affare a casa di mia cugina.
Finalmente arrivo al palazzo e chiamo l'ascensore e qui la sorpresa, l'ascensore è piccolino come consueto nei palazzi vecchi, ricavato nel poco spazio lasciato libero dalla tromba delle scale, le porte sono basse e il coso ritto in piedi non entra, inclinandolo è anche peggio, l'ascensore è stretto, 2 o 3 persone al massimo quindi nonostante i miei sforzi la base resta fuori, oltre tutto un inquilino di uno dei piani superiori comincia ad infastidirsi.
Lascio libero l'ascensore e aspetto che l'isterico se ne serva poi assieme al portiere che fino a quel momento mi aveva osservato con malcelato divertimento tento di ficcare il totem nell'ascensore nuovamente disponibile, ma non c'è verso di farlo entrare.
«Potrebbe decapitarlo!» non so se dice sul serio o se mi prende in giro quindi mi limito a guardarlo sconfortato.
«Temo che devo farmela a piedi, non potrebbe aiutarmi?» Sono quattro piani ed io sono esausto, subito lui leva le mani al cielo.
«Magari potessi, lo farei con tutto il cuore ma devo smistare la posta, oggi ne è arrivata una diarrea!»
Vorrei obiettare che quando ero uscito se ne stava tranquillamente a chiacchierare e che a chiacchierare l'avevo trovato tornando, a parte il tempo che era stato ad osservare i miei penosi tentativi di infilare l'attrezzo nell'ascensore, eppure solo ora scopriva di essere taaaaanto indaffarato. Infatti si dilegua di botto ed io resto lì a guardare per aria, 4 piani, tre rampe di scale ciascuno, 15 gradini per rampa, in tutto 180, praticamente devo sollevarlo di gradino in gradino con una piccola sosta per prender fiato, calcolando 10 secondi a gradino fa mezz'ora, sono preso dallo sconforto ma stringo i denti e procedo, dopo la prima rampa mi accorgo che qualcosa non quadra, non ho calcolato i pianerottoli tra le rampe e i piani, arrivo su dopo 45 minuti, con le braccia a pezzi, suono e mia cugina mi apre.
«Ma dove eri? Ti ho visto arrivare dalla finestra e poi è passata quasi un'ora, mi hai fatto preoccupare!»
Esalo «Per le scale ovviamente, speravo mi venissi incontro.»
«Ma perché non hai preso l'ascensore? Quattro piani sono parecchi, o forse è guasto?»
«Per il semplice motivo che il dannato attrezzo nell'ascensore non entra!»
«Beh ormai sei arrivato ora ti riposi e poi pranziamo!»
Scarta l'attaccapanni e subito guaisce.
«Ma perché l'hai preso bianco? La cameretta della piccola è beige, così stona!»
Vorrei che fosse un sidewinder per tirarglielo in testa invece mi limito semplicemente a rammentarle che non mi aveva specificato il colore.
«Mi hai chiesto di prenderle un attaccapanni, non mi hai detto marrone, verde o a pois rosa - poi, dato che sono un gentleman, aggiungo - oltre tutto ne erano rimasti solo due, l'altro era marrone ma era un pò storto, quindi ho preso questo.»
Ovviamente la bimba, che ha sentito la madre, come lo vede mugugna.
«Non mi piaaace biaaanco, lo voglio marrone.»
«Zio dice che quello marrone era un pò storto.»
«Lo voglio lo stesso.»
«Se fai la brava zio te lo cambia, su vatti a lavare le manine che è pronto.»
Guardo mia cugina come per dire «Sei matta?» la sola idea di rifare avanti e indietro il percorso per cambiarlo mi sembra una vera condanna ai lavori forzati, quindi non abbocco.
«Eh no mia cara! Io non lo cambio, non ci penso nemmeno se lo volete bianco questo è lo scontrino, ci vai tu e te lo fai cambiare tu!»
«Ma su dai falla contenta, ora pranzi e poi nel pomeriggio ti fai una passeggiata e....»
«E un corno! Anzi sai che ti dico? Me ne vado a casa e pranzo lì così non corro il rischio di farmi incastrare.»
La saluto frettolosamente mentre sento la piccola da lontano che dice «Davvero me lo cambia?»
Riesco ad infilarmi nell'ascensore prima di cedere al mio buon cuore e una volta in strada ignorando mia cugina che mi dice di tornare su fermo al volo un taxi, mi schianto sul sedile e con un filo di voce sibilo.
«Via Taranto per favore!»
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Scritto il 22 giugno 2000 è un altro dei miei festosi ricordi natalizi, a volte nei miei sogni rivivo la traversata con l'orso e mi sveglio con la fronte imperlata di sudore gelido...
Scritto nello stile acido e maligno di Natale con i tuoi costituisce con quello e con Oh che bel castello! un vero miniciclo che si discosta nettamente dal mio genere abituale.
Ovviamente quando tornai da mia cugina un paio di settimane dopo per le feste di Natale l'attaccapanni non era stato cambiato e non lo cambiò.
Per quanto riguarda la mia deliziosa nipotina... beh ormai va alla Luiss, è cresciuta, ma è sempre deliziosa ed adorabile come quando era piccina.


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Il brano in background è La Bamba, brano tradizionale messicano, reso popolare nei primi anni 60 da Ritchie Valens e più recentemente riproposta negli anni 90 dai Los Lobos per la colonna sonora del film sulla breve e sfortunata vita di Ritchie Valens.
(Un sincero grazie all'amico Gianfranco Luccini per la sua esauriente segnalazione).


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