Pescammo molto in quei giorni e da quegli abissi uscirono creature che sembravano ideate dalla mente di una divinità demente, ogni volta che la rete tornava su dopo aver imprigionato qualcosa tremavamo al pensiero del nuovo orrore che si sarebbe rivelato ai nostri occhi.
Alcune di quelle creature sembravano inoffensive ma i gatti continuavano a rifiutarle sdegnosamente.
Pescammo qualcosa che sembrava una grossa cernia ed uno dei marinai vedendo ancora una volta rifiutare il frutto delle nostre fatiche ironizzò con sarcasmo.
«Questi gatti ci prendono in giro, questo è un pesce, perdio, come quelli del nostro mondo, me ne frego se sono schizzinosi, io lo assaggio!»
Il capitano cercò di farlo ragionare ma alla fine lo lasciò fare.
Quello ne tagliò un grosso trancio e lo arrostì su un fuoco improvvisato, poi con cautela lo assaggiò.
Espresse soddisfazione e divorò tutto il pezzo schernendoci per i nostri timori. Molto rasserenati ci preparammo al banchetto ma il capitano ci fermò dicendo che era meglio esser prudenti. Aspettare qualche ora non era poi la fine del mondo e noi - per nostra fortuna - gli demmo ascolto.
Un paio d'ore dopo il pasto lo sventurato fu straziato da violenti dolori addominali e cadde in preda a convulsioni.
Rigettò più volte ed il suo vomito era verdastro e schiumoso, pestilenziale... perse conoscenza e morì dopo un giorno di violentissimi spasimi. Lo seppellimmo in mare e dopo di allora nessuno dubitò più dei nostri gatti.
Quasi due settimane dopo quando avevamo perso ogni speranza pescammo una creatura dall'aspetto orrido, una specie di scarafaggio cinereo con pinne, palpi e tentacoli, ma Bert si lanciò su di esso avidamente.
Con le unghie ne lacerò il fragile carapace portando allo scoperto una carne bianco rosata e profumata, se ne saziò a lungo e poi se ne stette in un angolo a leccarsi e a fare le fusa.
Per prudenza attendemmo qualche ora poi uno dei marinai si fece coraggio ed assaggiò la polpa.
«Sembra aragosta! - fu il suo commento sorpreso - Anzi è più buono!»
Infatti proprio l'essere più mostruoso di questo mare era l'unico per noi commestibile, era repellente e raccapricciante, solo l'idea di cibarsi di esso ci metteva a disagio eppure negli anni successivi non abbiamo trovato null'altro di cui cibarci senza rischi.
Per nostra fortuna era molto diffuso, veniva a galla solo nelle prime ore della notte, si aggirava pascolando sulle alghe per nutrirsi, poi alle prime luci dell'alba si tuffava di nuovo per passare il resto del giorno nelle profondità inaccessibili del mare.
Lo avevamo pescato per caso, ma una volta scoperte le sue abitudini ci fu facile catturarlo in gran quantità rinunciando ad altri inutili tentativi di pesca.
Di sicuro la sua polpa era molto nutriente ed infatti provammo tutti notevoli miglioramenti nella nostra salute, del resto non avevamo molta scelta ed eravamo grati a Dio di averci dato l'opportunità di avere a disposizione del cibo facile da procurarci e di buon sapore.
Per l'acqua non avevamo problemi, ogni tanto vi erano violenti acquazzoni e subito raccoglievamo l'acqua piovana necessaria per bere, per le nostre abluzioni ed anche per bollire la polpa del pesce scarafaggio.
Il nostro cuoco fece miracoli con quell'unico ingrediente, inventando molti piatti saporiti e fantasiosi ed anche se la varietà del nostro vitto non era notevole pur tuttavia eravamo moderatamente ottimisti.
Passò così il primo anno, dopo un mese avevamo ripreso a muoverci avanzando nella stessa direzione e sperando prima o poi di vedere l'isola dei nostri sogni, ma quel mare non aveva mai fine, la nebbia ci avvolgeva per gran parte del giorno e della notte e in quella livida coltre a volte ci sembrava di intravedere in lontananza esseri mostruosi dal lungo collo che avanzavano fendendo la coltre d'alghe, disinteressandosi di noi - per nostra fortuna - ma sempre troppo vicini perché potessimo starcene tranquilli senza disporre qualcuno di guardia anche in piena notte.
Forse uno di loro era stato il responsabile del massacro delle due scialuppe, non potevamo esserne certi ma per ogni eventualità stavamo in guardia anche se non eravamo certi di cosa fare se fossimo stati attaccati.
«Forse sono commestibili!» era la battuta che si udiva più spesso al riguardo pur tuttavia nessuno di noi si fece avanti per offrirsi volontario per una battuta di caccia grossa.
«Mangia il tuo scarafaggio e contentati, almeno questi puoi catturarli senza rischiare la pelle!» sbottava il capitano ogni volta che qualcuno suggeriva di andare a caccia. In realtà i suggerimenti erano frequenti ma nessuno si faceva avanti personalmente per tentare l'impresa.
Navigammo a lungo senza sosta poi al termine del primo anno di navigazione fummo destati da un grido di giubilo.
«Terra, terra!»
Ci precipitammo tutti in coperta ed effettivamente quando si diradò la nebbia vedemmo a pochi nodi di distanza una grossa isola, non vi era molta vegetazione, di sicuro non alberi, non ne vedevamo, ma valeva la pena fare un giro di esplorazione prima di ormeggiare lì e cercare di sopravvivere in qualche modo.
Volevano tutti far parte del gruppo che avrebbe compiuto la prima ricognizione, ma il capitano fu irremovibile, nel corso di quel primo anno avevamo già perduto gli otto uomini che assieme ad Evans avevano cercato la via del ritorno, poi quello che volle assaggiare il presunto pesce che i gatti avevano rifiutato, altri due infine erano morti in banali incidenti, eravamo rimasti in ventinove, sempre molti per governare il brigantino ma il capitano prudentemente formò un'unica squadra di soli cinque marinai, non fui tra loro e questo mi salvo da un'orribile morte.
Li vedemmo allontanare ed io ero di malumore, l'idea di estrarre i fortunati servendoci di pagliuzze mi era sembrata una specie di beffa, volevo essere tra i primi a scendere a terra ma la mia pagliuzza era troppo lunga.
Rimasi sul ponte a guardare astiosamente la scialuppa che si allontanava, fumavo la pipa come al solito ed appestavo l'aria attorno a me con il miserabile intruglio d'alghe che ormai fumavamo da mesi.
Già... il tabacco era finito da tempo e quando pensavamo di dover rinunciare al fumo si era scoperto che le alghe rossicce che erano a mezza altezza nel tappeto che ricopriva uniformemente il mare erano molto simili al tabacco una volta fatte seccare al sole.
Intendiamoci non era la stessa cosa che fumare dell'ottimo burley o il biondo virginia, ma insomma se ci si contentava era egualmente gradevole, le alghe verdi e brune invece erano inutilizzabili, provammo anch'esse infatti ed avemmo violenti conati di vomito e dissenteria per giorni.
Le alghe rosse invece erano perfette per lo scopo e da esse eravamo persino riusciti ad estrarre una sorta di alcool che pur non potendo sostituire l'ottimo rhum cui eravamo abituati ciò non di meno riusciva a renderci di buon umore.
L'artefice di questi due piccoli miracoli era il nostro cuoco che dopo essersi inventato i più incredibili piatti con la polpa del pesce scarafaggio ci aveva persino ridato il buonumore scoprendo il doppio uso dell'alga rossa.
Quindi me ne stavo a fumare bestemmiando in sordina sulla mia malasorte, sapevo che sarei sceso anche io a terra, se non vi erano pericoli, ma ciò non di meno avrei voluto essere lì assieme a coloro che compivano il primo giro di ricognizione.
Per ordine del capitano rimanemmo al largo, osservando i nostri compagni con i binocoli, li vedemmo approdare, esaminare la bizzarra fanghiglia che ricopriva l'isola, poi li vedemmo inerpicarsi su un dosso e non credemmo ai nostri occhi quando il dosso spalancò gli occhi...
«Oh per l'inferno! Non è una maledetta isola! Ma uno di quegli orribili mostri che a volte abbiamo intravisto nella nebbia!»
Rimanemmo col fiato sospeso mentre quei poveracci tentavano di raggiungere la scialuppa, ma non ne ebbero nemmeno il tempo.
Quella che credevamo fosse una vasta isola era solo la sommità del cranio di un mostro di dimensioni inconcepibili.
Il capitano impartì un ordine che a tutta prima ci fece strabuzzare gli occhi.
«Allontanarsi! Presto! Il più velocemente possibile!»
«Ma i nostri compagni!»
«Sono perduti! Non possiamo far nulla per loro, ma se non ci sbrighiamo anche per noi è finita!»
Aveva ragione, come sempre...
Il mostro accortosi di quei cinque sventurati inghiottì in un colpo solo la scialuppa ed i cinque che tentavano di raggiungerla nuotando affannosamente.
Anche se vi fossero riusciti non avrebbero potuto far nulla per porsi in salvo. La nostra salvezza fu dovuta in parte alla pronta decisione del capitano di allontanarci di lì ma soprattutto ad una di quelle dense e repentine nebbie che ci nascosero all'immenso leviatano e ci diedero modo di allontanarci di qualche nodo.
Fu in quell'occasione che scoprimmo che quei mostri, per fortuna non molto numerosi, erano totalmente ciechi nella nebbia e ed anche in condizioni atmosferiche normali non vedevano che a pochi metri di distanza.
Avevano ottimo udito però e quello che divorò i nostri compagni riuscì a farlo soprattutto grazie alle loro urla di terrore e non perché li vedesse realmente.
Negli anni che seguirono ci salvammo più volte rimanendo in assoluto silenzio mentre uno di essi ci passava ad uno sputo di distanza senza nemmeno accorgersi della nostra presenza.
La loro perdita fu un duro colpo, dopo un anno trascorso su questo orrendo mare eravamo assai più che fratelli, ci accomunava la disperazione e la speranza di poter trovare prima o poi un approdo ed ora avevamo il terribile sospetto che non vi fossero terre da nessuna parte ma solo questa sterminata ed infinita distesa di sargassi, con il loro tanfo di marcio e con la loro repellente fauna che purtroppo era l'unica cosa commestibile che vi fosse in giro.
Il secondo anno siamo stati più fortunati, ormai conoscevamo i pericoli peggiori ed avevamo imparato a nostre spese ad evitarli.
Il capitano teneva scupolosamente un diario di bordo ma le sue annotazioni divenivano ogni giorno più laconiche, non vi era nulla qui che potesse variare la monotonia del paesaggio o del vitto.
In effetti non abbiamo mai visto un uccello o una pianta vera e propria, ma solo le onnipresenti alghe che ricoprivano il mare a perdita d'occhio ed i micidiali abitatori delle sue profondità.
Fummo fortunati quel secondo anno perché non perdemmo nessuno dell'equipaggio, ormai eravamo rimasti in ventiquattro eppure contro ogni logica speravamo sempre di avvistare una vera isola dove poter sbarcare e stabilirci.
L'unico vantaggio era l'assenza delle tempeste, ad intervalli regolari venivamo sferzati da violenti acquazzoni che pur tuttavia duravano solo poche ore ma che ci consentivano di far rifornimento di acqua piovana dato che l'acqua marina era assolutamente imbevibile.
La monotonia della dieta era in parte alleviata dalla straordinaria abilità del nostro cuoco che riuscì persino a distillare sale da questo mare di veleni e una specie di melassa marroncina dai germogli delle alghe brune.
Le alghe brune infatti era totalmente inutilizzabili ma dai loro germogli si poteva ricavare una specie di succo brunastro molto dolce.
Il caffè finì presto e non fu possibile rimpiazzarlo, the invece ne avevamo in quantità enormi dato che era il nostro carico principale assieme a spezie ed altri generi di tipo voluttuario.
Bene o male avevamo da mangiare, da bere e da fumare e quando questi tre desideri sono soddisfatti la vita appare un pò meno grigia...
Il terzo anno il nostro gatto Bert morì, del resto era già anziano e i gatti si sa non vivono molto a lungo.
Ne fummo tutti addolorati ma soprattutto ne soffrì Tom che per giorni se ne restò in disparte rifiutando sia il cibo sia le nostre carezze.
Secondo i calcoli del capitano pur procedendo lentamente avevamo percorso una distanza immensa, pari a dieci volte la distanza tra New Orleans ed il Golfo di Biscaglia, questo ci fece render conto dell'immensità di questo mare, anche se abbiamo sempre avuto il sospetto di aver circumnavigato l'intero globo più di una volta. Del resto non vi sono punti di riferimento attendibili ma solo la distesa uniforme di alghe e del resto anche la temperatura rimane invariabilmente stazionaria, non vi sono stagioni qui o almeno se vi sono devono essere senza eccessive variazioni climatiche.
Comunque per convenzione continuammo ad usare il calendario del nostro mondo soprattutto per poter santificare il giorno del Signore e per osservare le feste religiose tradizionali.
A metà del terzo anno vi fu il primo suicidio. Il mozzo si impiccò.
Era un ragazzo giovane e già da tempo si lasciava andare a crisi di disperazione, doveva sposarsi al nostro ritorno in patria e aveva capito che in patria non sarebbe tornato mai più...
Molti di noi avevano famiglia e per tutti l'idea di non poter tornare indietro era insostenibile eppure cercavamo di non pensarci ed inventavamo mille cose per distrarci e dimenticare l'orrore della nostra situazione.
Un pò tutti ci dilettavamo di intagli in legno ed altri lavori di pazienza ed in breve trasformammo il fasciame della nave in un'autentica opera d'arte galleggiante, del resto non avevamo altro da fare tutto il giorno.
Il capitano invece si chiudeva per ore in cabina e raccontava al diario di bordo anche i fatti più insignificanti e per il resto del tempo beveva sino a sprofondare nel più assoluto torpore.
A volte avvistavamo sagome che sembravano isole, subito preparavamo la scialuppa accostandoci con cautela per poi fare silenziosa voga indietro quando ci rendevamo conto che si trattava solo di uno di quei mostri dormienti come quello che aveva sbranato il nostro gruppo di esplorazione al termine del primo anno.
Ci eravamo resi conto da tempo che non vi sono isole in quest'oceano eppure ogni volta si riaccendeva la speranza ed ogni volta la frustrazione ci faceva sprofondare in lunghi giorni di abbattimento.
Il quarto anno si suicidarono in cinque, a poche settimane l'uno dall'altro.
Del resto quando si perde ogni speranza la vita stessa diventa un peso insostenibile e nessuno di noi aveva cuore di disprezzare la debolezza di coloro che per disperazione avevano scelto quella via di fuga.
L'unica cosa che ci preoccupava era che presto la nave sarebbe divenuta ingovernabile, bene o male serve un certo numero di marinai per far navigare un brigantino e noi alla fine del quarto anno eravamo ridotti a diciotto.
L'unico vantaggio era l'assenza di tempeste, la brezza costante ci spingeva lentamente ma con velocità uniforme ed in queste condizioni anche poche persone possono mandar avanti una nave senza per questo ammazzarsi di lavoro.
Semmai era la noia a portarci alla follia e a nulla serviva inventare di tanto in tanto qualcosa di nuovo, bastava solo che ci guardassimo attorno per sprofondare subito nel più totale avvilimento.
Per due anni non vi furono altre perdite, eccetto Tom che già da alcuni mesi non toccava quasi più cibo.
Con la perdita del secondo gatto non avremmo più avuto chi ci mettesse in guardia dai veleni di questo mare, ma ormai non pescavamo più da tempo, avevamo accertato infatti che solo i pesci scarafaggio erano l'unica cosa commestibile di questo mondo schifoso e del resto col passare degli anni ci suscitavano sempre meno ribrezzo dato che dovevamo a loro se eravamo ancora in vita. Certo non può dirsi che fosse una gran vita la nostra, eppure ci facevamo coraggio e cercavamo in qualche modo di illuderci di poter prima o poi non tanto trovare la nostra isola dei sogni quanto di passare accidentalmente di nuovo per la porta da cui eravamo usciti dal nostro mondo.
Quella era l'unica nostra speranza anche se nessuno di noi ci credeva veramente in cuor suo.
Il settimo anno commettemo un imperdonabile errore che ci costò molto caro...
Scritto a Rieti tra il 19 ed il 21 gennaio 2001, diviso in tre parti non tanto per la lunghezza del testo quanto per poter mettere in apertura tre bellissime immagini di Bob Eggleton.
In particolar modo il racconto è stato ispirato dall'immagine Sargasso Sea che appare all'inizio della terza parte di questo testo.
Inoltre da segnalare l'uso di un altro stupendo set di Moyra che considero la più grande net artista, a lei si deve infatti se i web set sono divenuti vera forma d'arte e non solo semplice arredamento per le pagine web, tanti l'hanno imitata, nessuno l'ha mai eguagliata. |