Solo in Provenza il profumo dell'aria del mattino ha la dolcezza dei fiori appena sbocciati, solo in Provenza le nubi assumono in cielo immagini di sogno, solo in Provenza il sogno e la realtà si confondono nella gentile melodia di una canzone antica...
Jocelyn si svegliò alle prime luci dell'alba, si stiracchiò pigramente rotolandosi sul giaciglio di fieno, poi si raddrizzò di colpo con una aggraziata e giullaresca piroetta, dirigendosi verso la porta del fienile dove aveva scorto sulla soglia un vassoio coperto da un panno di lino, si accovacciò in terra e scoprì con gratitudine la gentile offerta del suo ospite: pane dorato caldo di forno, formaggio di pecora, latte appena munto...
Fece colazione allegramente canticchiando poi uscì dal fienile per dirigersi al ruscello, l'aria era tiepida, come sempre in Provenza, ed il cielo appena velato da nubi leggere annunciava un'altra splendida giornata primaverile.
Il suo ospite, mastro Uc, era occupato a spaccar legna ma come lo vide uscire lo salutò con un sorriso... un troubadour era un ospite prezioso ovunque si fermasse e Jocelyn era un troubadour, giovanissimo ma con anni ed anni di pellegrinaggi per l'Europa sulle spalle, aveva cantato alla fiera di St. Denis, quando l'abate Suger aveva festeggiato l'inizio dei lavori nell'abbazia, aveva suonato e cantato per i signori di Baux, di Etienne, di St. Lazare, di Carcassonne, ma era solo nei piccoli paesi che si sentiva a suo agio, in mezzo alla gente semplice che lo ascoltava con attento stupore, commuovendosi alla storia di Re Huon o lasciandosi cullare dalle chansons di Rudel, Vidal e degli altri troubadours che Jocelyn conosceva a memoria e che sempre cantava con piacere dilungandosi poi a spiegare al suo pubblico il significato del canto e narrando le vite leggendarie dei compositori di quelle chansons. Ed era in quei razos, in quelle vidas che Jocelyn eccelleva, ampliava i racconti tradizionali ed aggiungeva sempre nuove meraviglie o passaggi commoventi che catturavano l'attenzione degli ascoltatori ed intenerivano le giovani dagli occhi lucidi di commozione.
Chansons create da lui stesso mai, Jocelyn teneva solo per se i versi che componeva per il vento e le stelle, riteneva che i suoi versi fossero povera cosa ed indegna di essere esibita persino in una semplice fiera di paese, quindi solo quando si ritirava a sonnecchiare sul ciglio di un ruscello, con la schiena appoggiata ad un albero frondoso, solo allora, quando nessuno poteva udirlo, preso il liuto, cantava alle nubi ed al ruscello le sue semplici melodie in cui riversava i suoi sogni e la sua grande gioia di vivere.
A volte la notte, in estate o in primavera, si addormentava su una collina dopo aver cantato alle stelle di Provenza della donna che riempiva i suoi sogni ma che nonostante i lunghi anni di pellegrinaggi ancora non aveva incontrato, a questa creatura di sogno erano dedicati tutti i suoi versi segreti, solo a lei dedicava le sue chansons, non sapeva se avrebbe mai incontrato quella donna ed in cuor suo invidiava un pò lo sfortunato Jaufre, lui almeno - si diceva tra sè e sè Jocelyn - l'aveva vista la donna amata, era morto fra le sue braccia e morir par amor era la morte più bella che un troubadour potesse concepire... e così Jocelyn, lui non cercava nè onori nè ricchezza, viveva di quel poco che generosamente gli veniva offerto per ringraziarlo di una chansons, di una storia ricca di portenti e meravigliosi luoghi esotici e misteriosi e Jocelyn era sempre pronto ad inventare le sue storie prodigiose, fosse anche per la gioia di un solo bambino, Jocelyn in semplicità ed umiltà offriva a lui storie così ricche di fantasia che avrebbero potuto far di lui il più celebre troubadour di Aquitania, dove Alienor da anni riuniva i più celebri artisti e musici dell'epoca...
Il sorriso di un bambino, lo sguardo commosso di una fanciulla... questi per Jocelyn erano ricompense assai più grandi e per questo lui era felice, la sua vita era ricca, piena di spontaneo e semplice affetto che riceveva ovunque si fermasse, anche per un solo giorno, eppure vi era quell'ombra... il sogno di quell'amore che inseguiva da anni e così ogni volta all'alba o al tramonto cantava alle nubi ed alle stelle, cantava un amore fatto di sogno e meravigliosa poesia.
Lui era un trovatello, abbandonato nei pressi di S. Denis, era stato ospitato nell'abbazia fino a che, appena quattordicenne, non aveva deciso di andare per il mondo con la sola compagnia del suo liuto e dei suoi sogni, timido e sognatore, rifuggiva lo sfarzo delle corti, anche quelle più piccole e solo nelle semplici fiere di paese si sentiva a suo agio, allora a cavalcioni di una botte e della stanga di un carro cantava per ore, circondato dalla gente del luogo che ascoltava estasiata le storie meravigliose che lui narrava loro.
Un pasto o un giaciglio non erano un problema e lui non chiedeva altro, disprezzava la ricchezza, che crea invidia e toglie il sonno, lui dormiva serenamente e tutti gli offrivano spontaneamente quel poco di cui lui aveva bisogno, in cuor suo era felice e solo quella piccola ombra incrinava quella che poteva essere una felicità assoluta e totale.
Anche quel mattino Jocelyn cantò per le nuvole di Provenza, seduto sulla sponda di un ruscello, con gli occhi socchiusi, accompagnandosi con leggeri accordi del liuto, una canzone semplice, senza artifici o meravigliosi portenti delle lontane terre d'oltremare, un canto d'amore in cui riversava come sempre tutta la dolcezza della sua anima.
L'aria era tiepida, densa di aromi e dell'intenso profumo dei fiori, lui sedeva su una roccia ed un ruscello cantava ai suoi piedi, a tratti sulle onde passavano come vascelli fiabeschi dei gigli gettati nelle acque come messaggi d'amore per terre lontane e Jocelyn immaginava questi sconosciuti innamorati che mandavano a donne mai viste, se non in sogno, questi messaggi racchiusi nella diafana corolla di un giglio.
Cantava il suo amore segreto con versi semplici come l'acqua e tersi come il cielo, quei versi che aveva diviso solo con le nubi forse per timidezza o forse perché geloso di quei canti che erano solo per la donna che un giorno e chissà dove avrebbe incontrato.
Poi guardando nell'acqua vide riflessa accanto a se una figura di donna e subito interruppe il suo canto con un leggero imbarazzo...
«Vi prego continuate la vostra chanson, lasciatemi vedere il mondo attraverso la vostra voce...»
La voce di lei, timida ed esitante, era musicale come l'acqua del ruscello, Jocelyn arrossì lievemente.
«Le mie sono parole semplici, canti che non ho nemmeno il coraggio di eseguire nelle fiere dei paesi, non sono grande come Jaufre o Bernart, sono solo un trovatore che canta per un giaciglio di paglia pulita e per una scodella di minestra calda, - poi esitante - ma le mie chansons vi piacciono davvero tanto?»
Lei annuì con un sorriso.
«Si messere, ascoltandole sembra quasi di sentire il profumo dei fiori, udire il mormorare del ruscello e vedere vascelli di nubi navigare nel cielo... è bellissimo lasciarsi cullare dal vostro canto!»
«Siete davvero gentile ragazza, ma le mie sono semplici parole, non vi è nulla di tanto straordinario in queste mie canzoni, solo ciò che vedo con questi miei occhi, nulla di più di ciò che chiunque può vedere con i propri....»
Poi si accorse che dietro di lei un pò distante vi era il padre della ragazza che lo aveva ospitato per la notte ed il buon uomo indicava la figlia ed i propri occhi e scuoteva la testa con aria triste e Jocelyn comprese subito...
Gli occhi della giovane erano celesti come il cielo, ma spenti, lui continuò a parlare con tono indifferente ma ora l'aria tiepida del mattino sembrava molto più fredda... prese un fiore dalla sponda del ruscello e si rivolse di nuovo a lei...
«Ad esempio... ecco... questo fiore... come vi chiamate voi?»
«Lucille...»
«Bel nome, Lucille, bello come voi - sorrise - dicevo questo fiore chiunque può vederlo con occhi normali ma in realtà nessuno lo vedrebbe come è in realtà, vedi Lucille, è con il cuore che bisogna vedere e sentire ed allora questo semplice fiore di campo diventa un piccolo nido di elfi che si schiude al mattino al primo sole e nel pulviscolo di polline appena percettibile danzano piccole creature alate e se ascolti attentamente puoi anche udire la loro musica... e le nubi? Chiunque può vedere in loro volti o figure ma quelle nubi hanno tante storie da raccontare, tante storie piene di portenti, apri il tuo cuore al loro canto e lascia che ti narrino di tempi lontani...»
Lucille ascoltava rapita e portava all'orecchio il fiore come per udire anche lei la musica del ballo dei minuscoli elfi dei fiori...
Jocelyn si guardava intorno cercando uno spunto per una storia da narrarle, poi guardò il cielo e sorrise, tirò un gran sospiro e riprese...
«Sopra di noi ad esempio vi sono due grandi nubi dalla strana forma, o meglio chiunque vedrebbe in loro solo due grandi nubi dalla strana forma ma in realtà quella di destra assomiglia molto a Sir Guidelbert Ardamour di Camargue e quella a sinistra è sicuramente il drago della palude che fu sconfitto dal nobile cavaliere e le nubi sussurrano tutta la storia con voce leggera come un battito d'ali di libellula...»
Jocelyn prese il liuto e con voce sicura narrò di come Guidelbert Ardamour divenne Duca di Camargue dopo aver abbattuto il nero drago che da anni terrorizzava la pacifica regione degli aironi, Lucille ascoltava e seguiva con gli occhi spenti le sorprendenti vicende del coraggioso Ardamour, trepidava per lui se un rovescio di fortuna lo costringeva a trovare in fretta una via di fuga, rimaneva estasiata ascoltando le meraviglie che l'eroe scopriva nelle sue peregrinazioni in terra d'oriente...
E Jocelyn conquistato dall'attenzione con cui la fanciulla cieca seguiva il suo canto narrò una storia assai meravigliosa e ricca di portento, il suo canto diveniva sempre più forte e sicuro e gli accordi del suo liuto sembravano imitare il canto stesso degli uccelli, sì perché Jocelyn cantò dell'Albero di Babilonia e dei suoi uccelli meccanici e di come ser Guidelbert Ardamour scoprisse il segreto dell'albero...
«Molte avventure ebbe ser Guidelbert in Outremer e molti furono i portenti che vide con i suoi occhi, finchè un giorno sentì narrare di un misterioso Albero di Babilonia che racchiudeva un mistero e subito si sentì ardere dal desiderio di svelare quel segreto, l'inesauribile sete di conoscenza ed il suo smisurato coraggio guidarono l'eroico guerriero sino al Cairo, dove nel palazzo del Califfo era custodito l'albero meccanico...»
Lucille ascoltava rapita...
E nel palazzo del Califfo del Cairo vi era un giardino segreto che racchiudeva un'incomparabile prodigio di oreficeria, un maestoso portento opera di un ignoto artigiano che, si narrava, fosse stato un gran negromante di una terra lontana.
Un albero di bronzo sui cui rami erano posati simulacri di tutti gli uccelli creati dal Buon Dio assieme ad altri di pura fantasia, eppure non era questo il portento, sebbene ogni uccello fosse un raro prodigio di oreficeria, riprodotto sin nei minimi dettagli delle nervature delle piume più minute con un sapiente intarsio di metalli e pietre dure, sebbene il colpo d'occhio offrisse la più incredibile visione dai tempi del patriarca Noè, pur tuttavia altro era il prodigio e non da poco...
L'intero albero ed i simulacri erano tutti traforati da un fittissimo labirinto di cunicoli così sottili che a stento una formica avrebbe potuto percorrerlo senza rimanervi intrappolata, una ragnatela di cunicoli che passando dalle zampe degli uccelli saldate ai rami arrivava sino al becco di ciascuno di essi. E nell'albero stesso, lungo il tronco, alla base e fra i rami vi erano innumerevoli fori che ponevano i cunicoli in comunicazione con l'esterno e qui era per l'appunto il prodigio, al primo sole del mattino l'albero veniva investito dalla leggera brezza che veniva dal deserto ed il soffio di questa penetrava nell'albero attraverso questi fori, percorreva i cunicoli e giunta alle gole dei pennuti faceva vibrare alcuni cristalli sagomati in modo ingegnoso che con il loro suono riproducevano il verso proprio di quelle istesse creature... ed era allora tutto un cinguettìo, tintinnìo, zinzinnìo, chiurlìo, tutto un garrire, tubare, gloglottare... milioni di suoni tutti diversi e meravigliosi come diverse e meravigliose sono le voci degli abitanti del cielo...
Allora tutto l'albero diveniva vivo ed irreale, si animava di mille e mille suoni, tutti i simulacri emettevano il loro canto, ma di tutte le creature effiggiate solo una taceva in mezzo al coro assordante, una grossa fenice con le piume smaltate di porpora e carminio che, appollaiata tra i rami alti dell'albero, rimaneva costantemente in silenzio, qualunque fosse l'ora del giorno ed indipendentemente dalla forza del vento.
Ed il Califfo era molto contrariato, poiché il maestoso gioiello con la sua pecca oltraggiava il suo desiderio di perfezione.
L'albero di Babilonia, così era denominato anche se era stato creato in quel giardino segreto del palazzo del Cairo, costituiva una vera e rara meraviglia che pochissimi avevano potuto ammirare di persona ma che da quando un cavaliere crociato era stato ospite del Califfo era nota anche in oltremare grazie al racconto che quello ne fece una volta tornato in patria.
Ordunque il Califfo voleva che il suo prodigioso albero meccanico funzionasse a dovere e che la fenice unisse il suo canto a quello degli altri uccelli, pertanto convocò presso di sè tutti i più noti artigiani ed orefici ed anche gli infedeli poterono cimentarsi nel riparare il gioiello, pur tuttavia per quanto accurata e scrupolosa fosse la loro indagine nulla spiegava perché, la fenice tacesse con tanta ostinazione, i cunicoli che arrivavano alla sua gola non erano ostruiti eppure il vento che raggiungeva la sua gola non si tramutava in gorgheggio, la fenice rimaneva ostinatamente muta.
E sul canto misterioso della fenice vi era una leggenda, quando il suo gorgheggio si fosse udito l'albero avrebbe rivelato il suo segreto più nascosto, un tesoro di inestimabile valore ma cosa esso fosse non era dato sapersi, quel canto misterioso non era mai stato udito e l'albero continuava a serbare il suo segreto...
Il Califfo del Cairo aveva più volte tentato senza successo di far cantare la fenice ma la sua gola non proferiva suono...
E così giunse un giorno al palazzo del Califfo Guidelbert Ardamour ed il Califfo lo portò nel giardino segreto chiedendogli di provare a far cantare lui la fenice, offrendogli grandi ricchezze in caso di successo e la prigionia sino alla morte se avesse fallito...
Guidelbert accettò la sfida, per tre notti vegliò accanto all'albero senza concedersi riposo poi all'alba del quarto giorno chiese di parlare al Califfo...
Dinanzi a lui giunto Guidelbert chiese con disarmante semplicità
«Perché questo mirabile portento si chiama Albero di Babilonia? Era forse situato tra le rovine di quell'antica mirabile città prima di esser portato qui?»
Il Califfo scosse la testa «No, buon Guidelbert, l'artigiano lo realizzò qui, in questo stesso palazzo, fu lui a dargli il nome e poi si tolse la vita portando con se il segreto del canto della fenice.»
«Orbene - aggiunse Guidelbert - dove guarda ora la fenice?»
Il Califfo seguì lo sguardo del simulacro.
«Verso il deserto, credo in direzione di Giza.»
«Quindi - incalzò Guidelbert - la fenice dell'Albero di Babilonia non guarda nella giusta direzione e per questo essa tace serbando il segreto...»
Il Califfo si alzò di scatto in piedi.
«Quello che dite non è privo di fondamento... può esser questa la spiegazione del mistero e finalmente sapremo quale sia il tesoro più grande del mondo e come impossessarsene!»
Subito chiamò il più abile cartografo egizio e chiese a lui l'esatta direzione delle antiche rovine di Babilonia per poter orientare verso di esse lo sguardo della fenice, il cartografo in breve tempo effettuò i calcoli necessari e senza esitazione indicò la direzione esatta...
Allora il Califfo fece rotare il pesante manufatto e perchè ciò potesse avvenire furono necessari almeno trenta robusti schiavi, l'albero era enorme, pesantissimo e solo dopo molte ore di sforzi fu rotato nella direzione corretta, ora la fenice guardava lontano, oltre le sabbie, verso le rovine di una città leggendaria.
Il Califfo fece portare datteri e confetti, dolci bevande e gonfi cuscini di raso per se e per Guidelbert ed assieme a lui si accovacciò ai piedi dell'albero, fianco a fianco con l'infedele, che forse aveva brillantemente risolto il mistero, ed insieme attesero i primi raggi dell'alba...
Trascorsero le lunghe ore della notte in silenziosa attesa poi finalmente l'aurora rischiarò l'oriente e con i primi chiarori spirò lieve la brezza dal deserto ma l'albero ora era interamente silenzioso, nessuno degli uccelli effiggiati su di esso salutò l'alba del nuovo giorno...
Il Califfo fissò Guidelbert con amarezza e delusione.
«Mio buon amico ora tacciono anche gli altri e la fenice rimane ostinatamente muta...» ma non finì la frase poiché improvvisamente la fenice dischiuse le ali con maestosa eleganza e a poco a poco, dapprima inaudibile e poi con più vigore un canto melodioso sgorgò dalla minuscola gola di metallo, un canto di una bellezza struggente che commosse il Califfo sino alle lacrime...
Lui e Guidelbert rimasero ad ascoltare in silenzio l'incantevole melodia, senza aver il coraggio di guastare col suono della voce umana il canto della fenice, poi non appena questo cessò si udì un sordo scatto metallico ed una sezione delle radici di bronzo si sollevò come un coperchio rivelando uno stretto pertugio con un piccolo scrigno d'oro celato all'interno.
Il Califfo afferrò lo scrigno e lo aprì, poi ne mostrò il contenuto a Guidelbert, una piccola pergamena arrotolata...
«Potrebbe essere una mappa - sussurrò - non può essere solo questa pergamena il più grande tesoro del mondo...»
Guidelbert lo incoraggiò a leggerla ed il Califfo la srotolò e con voce opaca lesse le poche parole che essa conteneva...
"Molti sono i tesori del mondo e per essi gli uomini sono pronti a morire eppure uno solo è il tesoro più grande di tutti, il più prezioso e raro... e per conquistarlo a nulla serve esser potenti e ricchi, quel tesoro può essere conquistato anche dall'uomo più povero ed umile del mondo, poiché quel tesoro non può esser comprato con oro o diamanti, non può esser catturato con valorosi eserciti, esso è l'amore di una donna fedele e di fronte ad esso ben poca cosa sono tutte le ricchezze del mondo... Umar al Mhuttashym"
Il Califfo restò lungo tempo a fissare il vuoto con espressione indecifrabile poi si riscosse, guardò l'albero, la fenice e oltre le sabbie verso Babilonia, infine scrollò le spalle, arrotolò la pergamena e dopo averla messa di nuovo nello scrigno ripose questo nella cavità dell'albero che istantaneamente si richiuse...
«L'artefice dell'albero era un saggio mio buon Guidelbert, il tesoro che vi aveva celato era davvero grande, le parole di Umar descrivono davvero un grande e prezioso tesoro eppure quel tesoro è davvero irraggiungibile poiché la donna fedele non è mai nata su questa terra e per questo motivo tale amore sarebbe un raro e prezioso tesoro...»
Guidelbert scosse la testa «È fedele chi riceve fedeltà, è leale colei che riceve lealtà, il cuore di una donna è il mistero del creato, può amare con intensità assoluta ma solo se questo amore esclusivo viene ricambiato con pari esclusività allora diviene raro e perfetto, Califfo, ama con cuore puro chi è amata con cuore altrettanto puro e questo amore è prezioso solo se ricambiato e solo allora da crisalide si trasforma in leggiadra farfalla e come la fenice dispiega le ali brunite al fuoco rovente della sua passione portando le anime degli innamorati oltre le stelle più lontane... chi invece si circonda di decine e decine di concubine non potrà mai illudersi di amare ed essere amato in modo esclusivo, chi insegue la ricchezza non ha tempo di accorgersi di un tesoro prezioso che spesso è lì accanto in silenziosa attesa, chi insegue la gloria non potrà mai comprendere che l'amore è anche umiltà e che in quella umiltà è la sua grandezza vera!»
Il Califfo annuì «Tu sei saggio Guidelbert, sei valoroso, onesto e umile, grande nella battaglia, sottile nel ragionamento, privo di pregiudizi... sarebbe un onore per me averti accanto come Visir ma comprendo che ami la tua terra e che soffriresti lontano da essa, và dunque e che Allah guidi i tuoi passi affinchè possa essere tu a possedere il tesoro più prezioso del mondo...»
Poi congedò Guidelbert dopo avergli fatto ricchi e preziosi doni, gli diede una feluca ed abili naviganti affinchè senza rischi potesse tornare alla sua amata Provenza ed il cavaliere dopo un lungo viaggio per mare tornò alla sua terra natìa, lui aveva ben capito il senso della pergamena dell'Albero di Babilonia, a lungo aveva cercato in Outremer ricchi e preziosi tesori ed ora sapeva che il tesoro più grande lo aveva avuto accanto a se sin dall'infanzia...
Un giorno Guidelbert bussò ad una casa dove da tanti anni lo attendeva con amore fiducioso e fedele la compagna dei suoi giochi d'infanzia...
Ser Guidelbert non cercò più in Outremer rari e preziosi tesori, aveva ritrovato quello che non aveva mai perso, l'amore della sua Celine, che non chiedeva né sete né gioielli, né palazzi né schiere di servi ma solo la vicinanza del suo amato...
Jocelyn tacque, depose l'arciliuto sull'erba e fissò la fanciulla cieca seduta ai suoi piedi, poi guardò verso il sole dove le nubi assumevano forme di draghi e di cavalieri in armi e si sentì per la prima volta veramente felice, le offrì il suo braccio per aiutarla ad alzarsi e si diresse con lei verso casa.
Sì, Jocelyn non avrebbe più dovuto cercare chi comprendesse i suoi sogni e le sue visioni, non avrebbe più cantato le sue canzoni solo alle nubi di Provenza, aveva trovato il suo tesoro in quella gentile fanciulla cieca che si stringeva a lui con infinita dolcezza.
Iniziato il 27 gennaio 1997 è stato portato avanti durante il ricovero ospedaliero dell'ottobre 97. Per la difficoltà di decifrare la mia stessa scrittura posso porlo in web dopo averlo rivisto e concluso il 24 settembre 1998 a Trieste.
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