Frammenti dalle Rive di un Mare Lontano

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Boris Vallejo
Yhtac


Frammento n. 1
Sunset
(Sogno del 16 luglio 1995)

Sto qui accovacciato sul bagnasciuga, seduto con le gambe rannicchiate, con i gomiti puntellati sulle ginocchia ed il viso raccolto nella coppa delle mani, contemplo un'isola là in mezzo alle acque di questo strano mare color cenere.
Vedo una villa silenziosa ed abbandonata, forse in rovina o forse solo immersa in torpida attesa, la sua architettura stravolta, i festoni di rampicanti dagli abbaglianti fiori purpurei... È lontana ed al tempo stesso vicina, potrei toccarla con una mano se solo la protendessi verso di essa.
Il silenzio è assoluto, lo stesso sciabordio delle onde leggere del mare cinereo è senza suono, in cielo non vi sono nubi, nè cirri leggeri come trine, solo una calotta soffocante di luce ramata, ed è questa luminosità immobile ed irreale che mi tormenta, per quanto roteo il capo non vedo il sole da nessuna parte, potrebbe essere l'alba o il tramonto, è lo stesso, la luce riempie il cielo ma non vedo l'astro che la irradia, e l'isola di fronte a me riempie il mio campo visivo con la sua villa elicoidale, con la sua funerea muraglia di immobili cipressi neri...
Sulla destra, in fondo all'ansa della baia posso scorgere una rupe scoscesa ed un faro piantato su di essa, un faro antico di pietra ed una porta rugginosa col batacchio a foggia di testa di leone, non so come possa distinguere questi particolari a così gran distanza ma per qualche inconoscibile motivo se guardo in quella direzione i dettagli diventano vividi ai miei occhi morenti.

Rimango immobile, incrisalidato sulle rive del mare antico, cercando un suono una qualsiasi vibrazione nell'aria immobile, allora reclino la testa all'indietro ed urlo verso il cielo ramato, non un suono erompe ma un torrente di pallide larve spettrali che a milioni come iridescente pulviscolo si dissolvono nell'aria spessa ed immobile.
Le onde del mare cinereo lambiscono i miei piedi lasciando sulla sabbia umida inconoscibili rune come antichi versi di dimenticati aedi ed il cielo ramato dona a sua volta alle torpide acque riflessi dorati, mutevoli ed ipnotici come un sogno ingannatore...
In fondo oltre l'isola, oltre la villa, intagliata nel cielo e nelle acque del mare scorgo una porta, a tratti indistinta tra la lontana nebulosità dell'aria immobile, una porta oltre cui fuggire da questa stanza dove il tempo si cristallizza in questo eterno crepuscolo ambrato, sì vorrei dischiudere quella porta, recarmi oltre questo eterno tramonto, ma non conosco l'arte del delfino, nè tanto meno posso incamminarmi lungo il sentiero dell'airone, così non posso neppure esplorare la villa che sempre più spesso attira il mio sguardo.
Rimango immobile, per ore, forse giorni, forse eoni di tempo immisurabile sulle rive dell'antico mare di ardesia, poi alla fine mi scuoto, mi alzo in piedi di scatto e con gesto rapido e crudele estirpo gli occhi dalle mie orbite e li offro in dono al cielo ramato ed al mare di ardesia ed a questo immutabile tramonto senza fine.

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Frammento n. 2
Kinder
(Sogno - marzo 1995)

Corridoi senza fine si snodano ovattati e senza tempo, celati miraggi dietro pesanti cortine di velluto, bassi ed inquietanti cunicoli dove i passi affondano in morbidi tappeti lanosi, pareti damascate a tratti interrotte da icone di ricordi, piccole immagini indecifrabili nella luce azzurra ma che destano il polveroso eco di perdute primavere e di un'altra dolorosa estate. Sfioro ad una ad una le immagini indistinte leggendo con la punta delle dita la trama dei volti ed i sogni prendono vita come fumo filtrando tra le mani, sabbia sfuggita alla clessidra dei miei anni.
Non odo il suono dei miei passi, il suono è rimasto imprigionato in altri corridoi troppo a lungo attraversati, ora solo il morbido e silenzioso velluto di un tappeto smarrito nella luce troppo lieve accoglie il mio cammino.
E questa luce azzurra accovacciata come un ragno in attesa sopra i miei ricordi incorniciati si trasfonde ad essi, sogno dentro sogno, e le icone della memoria si tingono dei colori di una perduta aurora.

Lontano e flebile il pianto di un bambino, da qualche parte nell'interminabile labirinto di corridoi, scivola sulle pareti vellutate, echeggia azzurro alla luce sparsa come grani di un rosario sopra i frammenti di un'intera vita.
Filo tintinnante, guida i miei passi verso un'immensa sala dove l'elica brunita di una chiocciola di gradini s'immerge nello sconosciuto sottosuolo.
Scendo, gradino dopo gradino, seguendo l'eco di quel pianto, e poi ancora corridoi gessosi dove i passi risuonano vibranti sino ad un armadio nero con le ante spalancate come uno sbadiglio.
Dentro l'armadio su un ripiano solo una conchiglia, un murice ancora umido di mare, relitto sfuggito ad altro sogno e ad altro luogo, e sul fondale una cavità oscura attraverso la quale trovo un varco per raggiungere infine quel bambino morto che implora sepoltura.

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Frammento n. 3
Ice
(Sogno - autunno 1994)

Stanze dentro stanze, stanze cieche orfane delle finestre, luci strane ed ambrate indugiano su arredi suntuosi o spartani, ogni stanza un viaggio a ritroso nella memoria, sfioro una tenda e dietro scopro una porta celata, e ancora un rosario di stanze polverose ed immense, piccoli laboratori dal pavimento cosparso di trucioli, ripostigli ingombri di cataste di libri intrappolate in polverosi abbracci di ragnatele, ed io mi aggiro smarrito ed incerto tra foreste di quadri dimenticati a marcire su cavalletti tarlati, esamino scaffali di sterminate librerie scoprendo opere mai scritte di autori a me cari.
Dietro un separee in stile coreano una piccola porta bassa si schiude su uno sterminato salone dalle pareti interamente coperte di specchi, non vedo il soffitto, la luce soffusa lo rende indistinguibile ai miei occhi, ma i miei passi risuonano con echi crepitanti, rimbalzando sulle pareti vitree, mentre avanzo nell'incerto chiarore sino ad una porta lontana ed ancora e sempre stanze dentro stanze, come in un assurdo gioco di scatole cinesi, a volte due porte affiancate si aprono su ambienti diversi e sterminati, luoghi della memoria che condividono lo stesso frammento di tempo e di spazio.
A volte un quadro polveroso, appeso di schimbescio, attira la mia attenzione, ed io ne pulisco la superficie con una mano scoprendo grappoli di occhi che mi guardano, che mi scrutano, che seguono i miei movimenti.
Allora la corsa diventa estenuante, le porte si succedono e si schiudono su nuovi ambienti, inverosimili cataloghi di oggetti di uso misterioso ed incerto, di frammenti e relitti di giorni troppo lontani.
Sono stanco e ad ogni porta spero di trovare un'uscita da questo sterminato labirinto di oggetti dimenticati, ed ancora una stanza piena di astrolabi e mappamondi accoglie i miei passi, osservo un mappamondo antico, lo faccio roteare seguendo con un dito i confini di terre mai viste, indecifrata epifania di altri luoghi ed altri tempi, desidero ormai che questa sia l'ultima stanza dischiusa sulla cripta della mia mente e con rassegnata lentezza mi avvio verso la porta che mi è di fronte.
Una stanza immensa, sterminata, attorno alla porta da cui sono entrato una libreria che si perde verso un soffitto troppo lontano, davanti a me una scrivania coperta di fogli manoscritti, indecifrabili glifi di una lingua ignota, su un foglio una parola, fra tante insensate, ice, ghiaccio, allora alzo lo sguardo e per la prima volta scopro che la parete di fronte a me è un'unica immensa vetrata, non vi sono aperture, solo una sterminata parete trasparente oltre la quale immersa in una luce gelida e spettrale vi è solo una gigantesca montagna coperta di neve.
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Frammento n. 4
Neon
(Sogno del 19 febbraio 1992)

Woodstock
Cielo azzurro cobalto, sul palco Jimi Hendrix,
vestito di frangie agitate da un vento leggero.
Electric Ladyland
Come gemiti lancinanti lanciati verso il cielo assurdo,
le note magiche si avventano sugli spettatori
che si affollano attorno al palco
Hippies coronati di fiori, hashish e sogni del nuovo mondo
Woodoo Chile
E lui, con gli occhi socchiusi,
morde le corde metalliche della chitarra
I stand next a mountain
and chop it down
with the edge of my hands

Flashback
Scena al rallentatore
folla che ondeggia al suono della musica
With a little help from my friends...
Joe Cocker rauco quasi sfiatato,
bianco fantasma su un palco assediato
Flashback
Gli Sha-na-na si dimenano
vestiti come paracadutisti dell'Air Force
in un beffardo boogie-woogie di vent'anni prima
La folla applaude divertita
La musica, magia senza tempo, desiderio di libertà
L'immaginazione al potere
Imagine
John Lennon e la Plastic Ono Band
All we are sing to give peace in change...
Come un immenso sit-in contro la guerra in Vietnam,
la notte vela di magia la voce sognante dell'ex beatles
E poi lui Robert Zimmermann ora Bob Dylan
il cantore di Mr. Tamburine Man e dei Cani della Guerra,
le cui parole volteggiano sulla folla like rolling stones

Effetto giorno
Bagno in gruppo nel laghetto di Woodstock
C'era un laghetto?
Non importa
Pioggia
Hippies nudi si rotolano nel fango
Teloni sugli amplificatori

Flashback
Joan Baez con la sua chitarra acustica
le sue ballate politiche alla Pete Seger
Sacco e Vanzetti rivivono per un istante
ombre nell'ombra delle sue note
Un gruppo di Hare Krishna vestiti di arancione
rasati a zero contrasta con la folla multicolore,
ballano indifferenti i loro mantra
L'alba di un nuovo giorno
Mai più guerre, mai più armi
Voglia di cambiare il mondo.....

Flash
Musica techno sintetizzata da microchip
Coder e hacker solfeggiano su tastiere di computers
astrusi blocks esadecimali
Strumenti mai uditi e mai esistiti vibrano effimeri
creati dal mutare di parametri delle frequenze sinusoidali
In un istante un coro di voci umane evocato
come uno spettro dai canali stereo di una ad-lib
In un istante un'intera orchestra
viene generata da un processore
Uno Stealth vola invisibile al radar
con il suo carico di uova di morte, guidate da un laser
Cyberpunk con la testa imbottita di samples e codici
scatenano fosche core-wars in remoti hard-disk di banche dati

Divine coder
Signore della vita e della morte
Dialoga in linguaggio macchina per carpire l'ultima password
per penetrare nel S.A.C.
La guerra è un gioco
Il gioco è guerra
Come un wargame spietato accecare gli schermi del S.A.C.
per poi coltivare ad uno ad uno
i mille funghi che sbocciano sullo scenario strategico

Flashback
Woodstock
...and chop it down with edge of my hands
Oh no Jimi non è necessaria una mano basta un dito
Volevamo cambiare il mondo...
Oh sì, volevamo cambiare il mondo...
...ma il mondo ha cambiato noi...

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P.S. Scene della Guerra del Golfo, un video del concerto di Woodstock del 68... il risultato un sogno strano, fatto di tante immagini caotiche... quasi un'allucinazione...
Il testo lo rintracciai in ufficio su un vecchio floppy di alcuni anni fa.

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Frammento n. 5
Red Rose
(Sogno - 21 ottobre 1999)

Non so perché mi trovo in questa antica villa, né se ne sono io il proprietario ma so che ha una storia terribile e poetica: nel giardino, dentro un piccolo gazebo in muratura chiuso da un cancello arrugginito, vi è un cespuglio secco, inaridito dagli anni, che sorge dove secoli prima per gelosia fu uccisa una contessa ed il suo amante, sosto a lungo davanti a quel cespuglio e nel sogno ricordo di averlo fatto tante e tante volte prima d'ora, ma adesso vi è un motivo diverso e più triste, di tutta l'antica storia vogliono fare qui un ridicolo sceneggiato e già sento arrivare le macchine della troupe, io non voglio ma non so come impedirlo o forse non ho il coraggio di farlo, così mi rivolgo al cespuglio dicendo che non è giusto che una storia così bella diventi solo un'insulsa telenovelas, in terra vi è una rosa secca, la raccolgo e con gesto affettuoso la pongo su un secco ramo del cespuglio ed esso muta, sotto i miei occhi diventa una mano guantata di lucente raso azzurro e la rosa secca si rianima e diventa un piccolo, delizioso bocciolo dall'intenso color rosso sangue, la mano mi offre la rosa rinata ed io la colgo e l'appunto al bavero della mia giacca mentre la mano ridiventa un secco ramo in attesa.
Non sarà facile ma farò a meno del denaro della produzione, troverò in altro modo una via d'uscita, ma il cespuglio non dovrà mai più esser minacciato da ridicole trasmissioni televisive, le antiche storie d'amore son troppo preziose per esser date in pasto ad un pubblico incolto e annoiato, così carezzando il bocciolo purpureo mi avvio a scacciare gli intrusi dal nostro giardino.
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È straordinaria la capacità dei sogni di creare un passato all'azione sognata, la brevissima sequenza del sogno è interamente costruita su una serie di fatti che nel sogno sono noti pur non facendone parte: la storia dell'antico delitto, le difficoltà economiche per mantenere l'antico edificio, la scelta non gradita di consentire le riprese di uno sceneggiato che narri al grosso pubblico l'antica storia, l'arrivo della troupe che nel sogno non si vede ma di cui si avverte la presenza... una serie enorme di fatti per dare un significato al ramo che si trasforma in una mano guantata per offrirmi rinata la rosa inaridita che avevo posto su esso. Una sequenza breve, magica ma intensa e il sogno si conclude così, semplicemente, mentre carezzando il bocciolo vado a scacciare "quella gente" che io stesso per bisogno avevo chiamato. Credo che tutta la scena nella sua brevità sia più eloquente di tanti lunghi sogni fatti in passato.

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Il brano in background è Souvenir of China di Jean Michael Jarre.

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