La vita dimenticata
Parte Prima

Sono passati ormai dieci anni, giorno più giorno meno, dalla scomparsa rimasta sino ad oggi inspiegabile di Lorenzo C.
Lorenzo non aveva parenti e, all'infuori di me, non aveva nemmeno amici o conoscenti che lo frequentassero, io stesso mi recavo da lui una o due volte al mese per scambiare due chiacchiere ed alleviare un poco la monotonia della sua vita solitaria.
Eravamo stati compagni di banco al liceo e dopo esserci persi di vista per molti anni ci eravamo incontrati per caso in una libreria dove spesso mi recavo ad acquistare libri usati o fuori commercio.
Ai tempi di liceo sognava di diventare scrittore, i suoi temi in classe erano dei piccoli capolavori, quindi riconoscendolo il mio primo pensiero fu di chiedergli se aveva realizzato il suo sogno di un tempo.
Mi rispose di no, anzi mi disse che da tempo non scriveva più, mi spiegò che aveva preferito tenere solo per sé i suoi sogni dato che a nessun altro interessavano.
Al momento di pagare si accorse di non avere con sé il denaro sufficiente ed io non esitai a prestargli quanto gli occorreva e usciti dalla libreria gli offrii un passaggio in macchina per tornare a casa, esitò un pò ad accettare poi scusandosi per il disturbo che mi causava accettò con gratitudine.
Abitava in una piccola pensione familiare gestita da un'anziana vedova alla quale mi presentò come un suo vecchio collega di liceo, poi mi mostrò dove viveva...
La stanza era abbastanza grande ma un pò triste, sulla parete di fronte all'entrata vi era un camino in pietra, davanti al quale una poltrona con lampada a stelo e tavolinetto da fumo costituiva evidentemente l'angolo di lettura e relax, la parete di destra era invece parzialmente occupata da un grosso armadio di mogano e da una finestra che si affacciava sul cortile dello stabile, su quella di sinistra il letto con una sbiadita trapunta a fiori e il comodino con alcuni libri poggiati sopra, di fianco alla porta un piccolo scrittoio impolverato ed una poltroncina completavano l'arredamento del locale, tra il letto e lo scrittoio vi era infine una porta semiaperta che lasciava intravedere un piccolo bagno.
Rimasi senza fiato «Vivi qui?»
«Sì certo, come vedi è una stanza molto comoda, calda, ho tutto ciò che mi occorre, ho persino il bagno in camera, un bel camino, non pago molto e oltre tutto quando torno a casa la padrona mi fa anche trovare la cena. Siamo solo in cinque qui, c'è un vecchio maresciallo dei carabinieri in pensione, un'infermiera del vicino ospedale che fa i turni di notte, un'ex attrice di teatro e un pensionato ministeriale, quindi tutta gente tranquilla che vedo solo occasionalmente dato che non frequento nessuno di loro, quindi non mi posso lamentare.»
«Ma non hai un televisore, una radio, un grammofono, insomma qualcosa del genere?»
«Non ne ho bisogno, lavoro in uno studio notarile da molti anni ormai e la sera quando rientro ceno, leggo un pò e poi vado a dormire. La padrona mi lava pure la biancheria, eccetto quella intima che ovviamente preferisco lavare da me.»
«Ma non hai il telefono?»
«E a che mi serve? Non frequento nessuno quindi non c'è nessuno che ho bisogno di chiamare o che mi telefoni.»
Ero allibito, da anni ed anni viveva in questo modo e si riteneva pure fortunato, poi mi resi conto che oltre i pochi libri sul comodino non ve ne erano altri in giro, ai tempi di liceo invece di libri ne aveva tantissimi, a volte era lui a prestarmeli. Provai a chiederglielo.
«Ricordo che avevi una biblioteca fornitissima, che fine ha fatto?»
Rispose laconicamente alzando le spalle «Venduti. Ora ogni sabato vado nella libreria dove mi hai incontrato, riporto quelli letti e con una piccola differenza ne prendo altrettanti, così con poca spesa posso leggere tranquillamente senza il problema di dove metterli, dato che non ho spazio sufficiente, ovviamente se qualcuno mi piace molto lo tengo, mi indicò una piccola scaffalatura nascosta dalla porta e che non avevo visto entrando dove vi erano duecento, massimo trecento libri, praticamente nulla in confronto alla biblioteca che aveva ai tempi di liceo.
Mentre guardavo la piccola scaffalatura lui prese da un cassetto il denaro che gli avevo prestato in libreria e me lo rese, avrei voluto rifiutare, non ne ebbi il coraggio, così gli chiesi se gli andava di andare in pizzeria, così, tanto per chiacchierare un pò dei vecchi tempi ma come mio ospite dato che mi rendevo conto che non navigava nell'oro.
Rifiutò cortesemente ed io non volli insistere, prima di congedarmi gli chiesi se gli faceva piacere che di tanto in tanto fossi passato a trovarlo.
«Se ti fa piacere, io al massimo rincaso alle 20 quindi dopo quell'ora mi trovi sempre.»
Prima di salutarlo gli chiesi se aveva ancora i manoscritti dei racconti e romanzi che scriveva ai tempi di liceo.
«Sì molti li ho ancora, sono dentro l'armadio, molti li ho distrutti, gli altri sono lì, non so perché li conservo ancora ma ognuno ha uno scheletro nell'armadio no? Il mio è costituito da vecchie pagine polverose e sbiadite, volevo diventare scrittore un tempo ma poi le cose sono andate in altro modo."

Quella sera tornai a casa con una grande tristezza nell'anima, non riuscivo a comprendere cosa gli fosse accaduto, durante gli anni di liceo lo ricordavo attivissimo, sempre indaffarato con mille iniziative, parlava per ore dei suoi progetti futuri ed ora invece si accontentava di un lavoro monotono, una modesta stanza in una pensione e di qualche libro usato, che fine avevano fatto tutti i suoi sogni? Perché aveva accettato di vivere una vita dimenticata?
Non sapevo cosa fare, anche io vivevo da solo, ma avevo una bella casa, libri, video, computer, andavo al cinema e frequentavo gente, insomma vivevo!
Ma lui? Era vita la sua? E poi finire in uno studio notarile proprio lui! A fare un lavoro noioso, ottuso, lui che poteva diventare ben altro!
Volevo aiutarlo in qualche modo ma non sapevo come agire, non volevo che si offendesse ma non era giusto lasciarlo in quella assurda solitudine, così presi l'abitudine di andarlo a trovare ogni due settimane, di venerdì, ogni volta gli portavo qualche libro, che puntualmente mi restituiva alla mia visita successiva, poi mi trattenevo un paio d'ore a conversare con lui sempre con la speranza di riuscire a far rinascere in lui il desiderio di uscire da quel guscio in cui si era ritirato da anni.
A volte scambiavo due parole con la padrona, lei era contenta che l'andassi a trovare «Sta sempre da solo poveretto, è una gran brava persona eppure non ha amici, lei è l'unico che si ricorda che esiste.»
Quando cambiai il computer provai a regalargli il mio vecchio 386, dandolo indietro avrei ottenuto un modesto sconto sul nuovo pc quindi pensai che forse con computer a disposizione si sarebbe rimesso a scrivere, ma fu inutile.
«E che ci faccio? Non ho il posto per metterlo.»
«Puoi metterlo sulla scrivania!»
«E poi io dove mangio?»
Guardai la scrivania mezza vuota e impolverata «Ma se c'è la polvere sulla scrivania, mangi sulla polvere?»
«Non mangio sulla polvere ma su un vassoio! La signora mi porta un vassoio ed io poi glielo rendo, quindi che differenza fa se c'è la polvere? Poi oltre tutto non mi piacciono i computer, mi basta lavorarci in studio, in casa non voglio nemmeno vederli.»
«Potresti riprendere a scrivere!»
«Tempo perso, preferisco leggere, ti ringrazio per il pensiero ma a me non serve.»
Lo riportai indietro e alla fine lo regalai in parrocchia.
Quello che mi non mi andava giù era l'abbandono in cui viveva, del resto la padrona non entrava in camera, il letto e le pulizie le faceva da sé, settimanalmente le dava un fagotto con lenzuola, camicie ed altro e lei un paio di giorni dopo gli restituiva tutto lavato e stirato, rispettava la sua privacy anche se più volte si era offerta di pulirgli per bene la camera poi ci aveva rinunciato, del resto a parte un pò di polvere teneva tutto in ordine e rifaceva accuratamente anche il letto prima di andare al lavoro, solo della polvere non si curava eccessivamente.
«Mi fa compagnia!» mi disse una volta.
«La polvere ti fa compagnia? Oddio Lorenzo e che compagnia può fare la polvere?»
«È una presenza costante e discreta, torno e la trovo, è una vecchia amica...»
A volte mi chiedevo se certe battute fossero al solo scopo di stuzzicarmi, di fare dell'ironia, ma francamente era un tipo di umorismo che non capivo, quindi lasciavo cadere il discorso per parlar d'altro.
Lorenzo era un sognatore, deluso dalla banalità della vita quotidiana aveva da anni troncato ogni rapporto di amicizia, nemmeno sul lavoro dava più confidenza ai colleghi, svolgeva con scrupolo il compito a lui affidato e quando l'orario di studio terminava se ne andava limitandosi solo ad un rapido saluto, per recarsi subito a casa ed immergersi nella lettura dei suoi amati libri. Il sabato invece non dovendosi alzare presto per andare al lavoro dormiva un pò di più poi nel pomeriggio dopo aver riuniti i libri letti si recava in libreria e sceglieva le letture per una nuova settimana, due o tre libri, non di più.
Stimolato dalla gran mole di letture aveva preso l'abitudine di sognare ad occhi aperti vite diverse, in cui secondo l'estro del momento e sulla falsariga dell'ultimo libro letto la realtà cambiava trasfigurandosi e strani passati e fantastici panorami lo accoglievano per donargli quelle straordinarie avventure che, negate in vita, ritrovava puntualmente nei suoi sogni visionari...
A volte, quando andavo a trovarlo, lo trovavo in camera sua, sprofondato in poltrona, a fissare il suo armadio spalancato, con lo sguardo fisso su una pila di libri, riviste, fogli di racconti e romanzi iniziati e mai portati a termine, vecchie fotografie ingiallite dove amici persi di vista con gli anni si affacciavano per ricordare una lontana primavera e tutte le illusioni della gioventù irrimediabilmente trascorsa. Dall'altra parte dell'armadio vi erano solo un paio di giacche, un cappotto ed una pila di camicie e lenzuola stirate ed in ordine. Nei due cassetti vi era la biancheria ed altri manoscritti, come avevo notato qualche volta che li aveva aperti in mia presenza per cercare un fazzoletto, i suoi continui raffreddori, anche in piena estate, erano proverbiali anche ai tempi di liceo.
In inverno invece amava starsene in poltrona davanti al camino acceso, ma con le luci spente, immerso in oceani di ricordi, ad inseguire chissà quali immagini affioranti dal suo inesauribile mondo interiore, con il suo ultimo libro poggiato sul tavolinetto da fumo accanto alla poltrona su cui sognava ad occhi aperti.
Allora si riscuoteva, faceva un leggero sorriso e mi invitava a sedere.
Cosa significasse per lui quell'armadio e perché fosse costantemente aperto, divenne per me un ossessione, ero tanto incuriosito che una volta accorgendosene me ne spiegò sorridendo quale significato vi attribuisse.
«Vedi, quell'armadio racchiude la mia giovinezza, è l'unica cosa che conservo gelosamente dei vecchi tempi...»
Era vero, infatti guardandolo meglio ricordavo di averlo visto nella sua camera quando andavo a trovarlo negli anni di liceo e con leggero brivido ricordai che anche in quelle occasioni era sempre aperto.
«...quando mi sono trasferito qui la signora mi ha permesso di tenerlo e in un certo senso è l'unica cosa veramente mia di quanto è qui dentro, a parte i libri ed il vestiario. Ho riposto lì dentro tutti i miei ricordi, i miei sogni, le mie illusioni... Una volta ero certo che sarei diventato uno scrittore celebre, o un giornalista, o uno sceneggiatore cinematografico, così giorno dopo giorno, anno dopo anno, scrissi romanzi, racconti, tante tante cose. Quanto ho scritto! Finché non inviai qualcuna di quelle cose ad alcuni editori, certo dell'immancabile successo non ero preparato ai rifiuti che invece ricevetti. Pensai che all'inizio forse dovevo accontentarmi di editori meno noti e mi rivolsi quindi anche ad alcuni di questi ma le risposte furono sempre di cortese rifiuto "Le sue storie, per quanto ben scritte non rappresentano ciò che abitualmente scegliamo per i nostri programmi editoriali..." o qualcosa del genere, cambiavano le parole ma il significato era sempre lo stesso, le mie storie non interessavano. Le lettere che ricevetti sono nell'armadio, credo, da qualche parte in mezzo a quella catasta. C'è tanta roba lì dentro! Così dopo l'ultimo rifiuto amareggiato riunii tutti i miei dattiloscritti e li misi lì dentro, alcuni li distrussi, poi forse non ebbi più il coraggio di farlo, quante notti in bianco mi erano costati! Smisi di scrivere, naturalmente, ma non cessai di immaginare nuove trame, di sognare altre fantastiche avventure, solo che le tenni per me, dentro di me, era inutile scriverle, tanto non avrebbero mai interessato alcuno...»
Si accese una sigaretta e ne fissò per qualche istante le lente spirali di fumo, poi riprese.
«Riunii anche le foto degli anni passati, con un pò di pazienza troverai lì dentro Annalisa, Laura, Mara e tutte le altre amate inutilmente senza nemmeno esser ricambiato dall'ombra di un sorriso, sono tutte lì, assieme alle mie illusioni di quando era bello sognare un futuro forse un pò banale ma uguale a quello di tanti altri che pure non avevano nulla di speciale più di me. Ora, credo, sono forse più libero di quanto sia mai stato, con la fantasia posso ancora creare vite immaginarie come in passato ma non tento più di dividerle con altri, sono solo mie. Guarda quel mucchio lì di fianco, sono alcune delle riviste che compravo allora, alcune sono ormai pezzi rari, ma ognuna di quelle vale perché racchiude miriadi di immagini, più volte sognate, più volte ripercorse nelle mie interminabili fantasie, non perché è un pezzo raro ed introvabile.
Io le conservo come conservo lì dentro tutti i miei sogni... inutile che li cerchi, i sogni non hanno sostanza, non occupano spazio, sono infiniti eppure quell'armadio li contiene tutti, giorno dopo giorno, anno dopo anno, finiscono tutti lì, uno sull'altro, ma io non li dimentico, essi sono sempre vivi, sono parte di me, perché il mio stesso corpo è fatto della sostanza di cui son fatti i sogni e quando anche l'ultimo di essi sarà lì dentro ebbene... sarà giunto per me il momento di raggiungerli.
Ormai la realtà stessa assume ai miei occhi una trasparenza sempre più evidente, a volte mi sembra di vedere attraverso le persone, attraverso le cose, forse sono davvero vicino a sognare il mio ultimo sogno, me stesso, e son certo che quando mi ridesterò sarà questa che tu chiami realtà a svanire, non la mia, così finalmente raggiungerò per sempre, per riviverli sino alla fine del tempo, tutti i sogni che ho riposto lì dentro, assieme alle illusioni di un tempo, lì ritroverò la donna amata e perduta anni fa, lì sono celati i mondi di fantasia degli scrittori che per primi hanno squarciato la coltre di iridescenti ragnatele che per l'intera vita tengono gli occhi degli altri ancorati alla grigia realtà.
Ormai mi sento come un viandante stanco giunto al termine di un lungo ed interminabile viaggio nelle tenebre, non vedo ancora la meta, eppure ho la certezza che è vicina, così per ogni evenienza continuo a tener l'armadio aperto, pronto a deporvi il mio ultimo sogno, me stesso...»

Nel corso di questi anni ho molte volte meditato sulle sue parole, ogni volta che vi ripensavo mi apparivano come un amaro presagio di morte, eppure per qualche motivo avevo l'impressione che l'idea della morte era lontana da esse, del tutto assente, o se anche vi fosse stata ben altra e diversa era la sua essenza.
Viveva da anni in quella pensione, come ho già detto, durante il giorno sprecava la sua vita e le sue energie in uno studio notarile, non aveva più amicizie, nemmeno con i colleghi di lavoro, non aveva amicizie eppure non era una persona scostante o scontrosa, era una persona sola, introversa, non dava confidenza agli estranei e solo a me qualche volta confidava i suoi segreti pensieri, anche se ho sempre avuto il sospetto che più che con me parlasse con se stesso, sempre perennemente immerso nel suo sognante mondo interiore.
Lorenzo era una vittima della vita, dalla vita non ebbe mai nulla di tutto quello che gli altri hanno con facilità ed a volte senza alcun merito.
L'unica persona da lui amata e che lo ricambiava la perse in un incidente tanti anni prima, forse, io credo, fu quell'ingiustizia della vita a cambiare per sempre il suo modo di affrontare la realtà.
Trovò nel sogno il suo riscatto e ripercorse le stesse strade che altre persone prima di lui avevano già attraversato, ma tenne rigorosamente per se il crepuscolare frutto delle sue fantasie.
La padrona della pensione dove abitava lo aveva in gran simpatia, le dava amarezza tanta solitudine ma ne rispettava la privacy, non gli faceva domande, aveva visto a volte quando gli portava la cena quel suo armadio sempre aperto ma non gli aveva mai chiesto nulla al riguardo, dei suoi cinque pensionanti Lorenzo era quello che le dava meno disturbo, silenzioso e discreto, pur rimanendo alzato sino a tardi non le aveva mai dato motivo di lamentarsi, le uniche visite che ricevesse dopo tanti anni che viveva lì erano le mie, nemmeno troppo frequenti a dir la verità, non più di un paio al mese, a volte anche meno.
Nei primi anni il suo unico vero contatto con il mondo era costituito dalla posta che affluiva copiosa, poi, a poco a poco anche quell'evanescente legame col mondo si era dissolto e, a parte qualche sporadica pubblicità, sembrava esser stato completamente dimenticato da tutti, di questo la brava donna si rammaricava spesso ed in più di un'occasione mi spronò a fare qualcosa per alleviare la sua solitudine, ma i miei tentativi si dimostrarono del tutto inutili, a parte i libri che gli prestavo e le mie rare visite non accettava altro da me, così rinunciai, comprendendo che forse lui era egualmente felice.
Una volta gli chiesi cosa pensasse dell'amore, se non pensava di trovare una persona che gli stesse accanto, era un tasto doloroso per lui pur tuttavia mi rispose.
«È un'illusione... null'altro che illusione, l'amore è troppo spesso a senso unico, tu sai bene quante volte ho cercato la mia anima gemella... e sai bene cosa significasse per me aver trovato lei, poi quell'incidente... ed è tutto finito. Eppure ora ho Swan che rappresenta per me i sogni perduti, non perderò anche lei, perché la sua stessa presenza è un balsamo per la mia anima...»
Swan? Era un fatto del tutto nuovo! Era ormai da lungo tempo che mi recavo periodicamente a trovarlo e quella era la prima volta che la nominasse. Comprensibilmente mi mostrai felice per lui, anzi gli chiesi di presentarmela, sempre che gli facesse piacere e, incuriosito dal nome gli chiesi se era straniera.
Mi guardò a lungo con un bizzarro sorriso, poi mi disse con voce tranquilla.
«Non credo sia possibile, non avrei nulla in contrario, sia ben chiaro, ma vedi Swan è una mia creazione, l'ho immaginata in anni ed anni di sogni, ne ho fatto la mia compagna per le lunghe ed interminabili esplorazioni del mio mondo fantastico, essa racchiude in se tutte le donne che ho conosciuto ed amato, soprattutto quella che ho perduto, dato che è a sua immagine, è qualcosa di più di un simbolo e credo che diverrà definitivamente reale quando finalmente deporrò nell'armadio il mio ultimo sogno, me stesso, allora assieme a lei respirerò il profumo dell'eternità. Le ho dato nome Swan, cigno, poiché il cigno canta prima di passare dall'altra parte, così analogamente quando terminerà il mio ultimo sogno mi ridesterò dall'altra parte nel suo abbraccio.»
Conoscendolo dovevo aspettarmi qualcosa del genere, eppure non stava burlandosi di me, era serio come sempre e probabilmente ai suoi occhi Swan era più viva e concreta di tante donne da lui incontrate negli anni passati. Certo era davvero triste che solo l'immaginazione potesse donargli ciò che aveva inutilmente cercato.
A questo nuovo presagio di morte io reagivo cercando di minimizzare la cosa e ad ogni nuova visita gli chiedevo scherzosamente come stesse Swan. Forse potrà sembrare poco gentile da parte mia una cosa del genere, come se mi prendessi gioco di lui ma invece lui non si sentiva offeso da questa domanda, anzi mi rispondeva con gran serietà, dicendomi ad esempio di aver visitato con lei la perduta Kadath nel Deserto Gelato, o di essersi spinto nella Terra di Mezzo alla ricerca dei perduti Silmarill, oppure di aver sempre con lei visitato Valusia, Cimmeria, Melniboné, Newhon e tanti altri luoghi vivi solo nella sua fantasia, lo ascoltavo con un pò di rimorso per il mio stupido scherzo, finché non gli chiesi più nulla e lui non mi disse altro.
Cominciavo a temere che le letture fantastiche stessero a poco a poco incrinando la lucidità della sua mente, nelle nostre chiacchierate diventava sempre più difficile seguire i suoi discorsi quando parlava di Nostrilia, C'Mell e di altri luoghi o personaggi a me ignoti di cui lui invece sapeva tutto, anche cose di cui, a suo dire, solo lui era a conoscenza. Per questo motivo intervenivo di rado nei suoi discorsi e che avrei potuto dire? Lo ascoltavo per ore ed ore cercando di comprendere il suo mondo ma ero troppo legato alla vita reale per farne parte, così nonostante il mio desiderio finivo per rimanere costantemente escluso dai suoi sogni.
Una volta ad esempio parlavo con lui di luoghi di villeggiatura, si avvicinava l'estate e pensavo di portare la mia amica del momento in qualche posto un pò insolito ed esotico, quindi ebbi l'idea di chiedere un parere a lui, un pò per distrarlo ed un pò perché apprezzavo la sua vasta cultura, mi aspettavo quindi l'indicazione di qualche luogo insolito ma ricco di storia invece lui senza esitare mi consigliò Vermillion Sands, di cui non avevo mai sentito parlare. Lo ringraziai ed il giorno dopo, recatomi in un'agenzia di viaggi, feci una perfetta figura da cretino ostinandomi a pretendere due biglietti e prenotazione nel miglior albergo di Vermillion Sands. Dopo oltre un'ora di ricerche e frenetiche consultazioni di atlanti l'impiegato furibondo mi invitò ad andare... insomma a far perder tempo a qualcun altro.
Mortificato ed imbarazzato per l'accaduto mi ripromisi di chiedere spiegazioni a Lorenzo e dopo pochi giorni mi recai nuovamente da lui che fu sorpreso di rivedermi dopo così poco tempo.
Ebbene quando finalmente gli chiesi dove si trovasse quella maledetta località lui si limitò ad indicare uno dei libri della sua biblioteca e poi si mise a descrivere diffusamente le bellezze del luogo, fu in quel momento che ebbi la certezza che qualcosa non funzionasse più nella sua mente, la scissione tra realtà e fantasia si era colmata e per lui l'una o l'altra era indifferente e coesistente. Ero quasi certo che se gli avessi parlato di Jesolo, Ponza o Capri, ad esempio, lui avrebbe finito per cercarle nei suoi libri! La mia ira sbollì, non potevo prendermela con lui, in fondo me l'ero cercata! Dovevo immaginare che per lui il mondo reale e quello fantastico si fossero indissolubilmente fusi, compenetrati, così feci finta di nulla, non tornai più sull'argomento solo che decisi di evitare in futuro di chiedergli altri consigli...
Con tutto ciò non intendo dire che fosse impazzito, era solo un pò avulso dalla realtà, per il resto parlare con lui era davvero riposante, in quelle tre ore che mi trattenevo da lui mi dimenticavo del mondo e di tutti i suoi problemi per approdare in una terra incognita dove tutto era meraviglioso, forse era questo il motivo della sua serenità, ascoltando la sua voce riuscivo a sognare persino io che ero e sono tuttora un rozzo materialista, figurarsi lui che in quel mondo di fantasia ci viveva costantemente immerso!
Qualche anno prima della sua scomparsa le mie visite erano divenute assai più frequenti, a volte anche due volte a settimana, era un periodo in cui avevo qualche problema con il lavoro, avevo rotto con la mia amica e quindi la quiete di cui avevo bisogno la trovavo solo ascoltando le sue fantasie, allora mi liberavo a poco a poco dei mille problemi che non mi davano requie e mi abbandonavo al suono della sua voce che, come la risacca del mare, cancellava ogni traccia delle mie sgradevoli giornate.
Non era un vero dialogo, lui parlava ed io ascoltavo, ma andava bene ad entrambi. Iniziai ad invidiare la sua inestinguibile fantasia e considerai sotto un altro aspetto i mondi in cui mi conduceva, a volte sembrava veramente che le pareti si dissolvessero come fumo per schiudersi su sterminati orizzonti smarriti dai giorni incantati dell'infanzia.
Mi riscuotevo con rammarico per tornare alla mia casa, al mio lavoro, ai mille problemi della vita di tutti i giorni. Lorenzo in un certo senso ha fatto sì che imparassi di nuovo a sognare, a volte, a dire il vero, i suoi discorsi mi apparivano paradossali, una volta ad esempio, mi parlò per un'intera serata dei vantaggi della spada hyboriana a due lame! Pur tuttavia era incredibilmente rilassante ascoltarlo...

Un'altra volta gli chiesi perché, pur progredendo culturalmente, gli uomini rimanessero così attaccati alla fantasia, al mito, alla favola, tanto da creare costantemente nuovi miti, la sua risposta giunse secca e precisa, come sempre.
«Bernardin de Saint-Pierre disse: "È con le fiabe che si attira l'attenzione degli uomini sulla verità" ed è vero, il mito ed il sogno sono strettamente collegati fra loro dai simboli e, come dice Kleinpaul "I simboli non si creano, essi esistono, non sono inventati, sono semplicemente riconosciuti", quindi attraverso quei simboli contenuti nelle fiabe e nei sogni tu puoi risalire al concetto, alla verità, a quella verità che è nascosta dentro di te anche se tu non lo sai. Il bambino non si pone problemi di logica, percepisce il mondo attraverso le lenti della sua sognante fantasia, ricreando passo dopo passo i miti dell'umanità. Crescendo noi dimentichiamo quella magica visione del mondo, ma essa rimane sonnecchiante dentro di noi, per riaffiorare nei sogni della maturità. Kafka parlando del vecchio ghetto di Praga, buttato giù e ricostruito in maniera più igienica, ma anonima, usa delle parole che si adattano magnificamente al nostro caso:

In noi vivono ancora e sempre gli angoli bui, le vie misteriose, le finestre cieche, i cortili sporchi, le osterie rumorose ... Percorriamo le ampie strade della città ricostruita, nuova, eppure i nostri passi e i nostri sguardi sono incerti. Tremiamo ancora interiormente, come nelle vecchie stradine della miseria. Il nostro cuore non ha ancora percepito il risanamento compiuto. L'antica e malsana città ebraica è in noi più reale della nuova igienica città. Pur svegli andiamo attraverso un sogno che è soltanto il fantasma dei tempi antichi...

Capisci? La città vecchia è il mondo incantato della nostra infanzia, che noi trasfiguriamo ad ogni passo, immaginando orchi nei cantucci bui, avvertendo il mistero di una vecchia soffitta, mitizzando gli oggetti abbandonati o rotti per farne reliquie di antiche ere, crescendo perdiamo tutto questo, il cantuccio buio diventa ciò che in realtà è sempre stato, un angolo polveroso e sudicio, da cui è scomparso ogni alone di mistero, la soffitta diventa solo un comodo ripostiglio per il ciarpame che non desideriamo per casa ma di cui tuttavia non vogliamo disfarci, ma se la nostra mente è appagata da queste logiche spiegazioni e razionalizzazioni il nostro inconscio per contrasto si oppone recisamente, lotta contro questo appiattimento. Non può accettare la logica, noi ci sentiamo sicuri di noi, eppure a volte qualcosa riaffiora alla mente e ci ritroviamo senza saperne il motivo con un vecchio giocattolo rotto tra le mani a guardare nel vuoto e chiederci perché ci piacesse tanto da piccoli, cercando di ricordare cosa vi trovassimo di tanto strabiliante, ma non possiamo più farlo, il velo è caduto e ci resta solo un senso vago e struggente di aver perduto qualcosa, di aver barattato la nostra stessa anima per qualcosa che in fondo in fondo non aveva alcun valore...»
Lorenzo era così, passava con indifferenza dalla fantasia più sfrenata a considerazioni di tipo filosofico ricche di appropriate citazioni letterarie e scientifiche. Quella volta per l'appunto ce ne stavamo davanti al camino acceso e lui parlava e parlava. In quel debole chiarore la sua voce sembrava come venire da un sogno, lontana e vaga, forse, come era sua abitudine, parlava più a se stesso che a me, non si aspettava di essere interrotto ed io lo assecondavo, oltre tutto era piacevole starlo a sentire e a lui non dispiaceva un ascoltatore attento ma silenzioso. A volte quando io andavo a trovarlo la padrona che mi aveva molto in simpatia ci portava una tazza di the o di caffè, a seconda dell'orario, era un pò il suo modo di ringraziarmi per quelle ore che passavo lì da lui, dandogli modo di parlare un pò con una persona che lo ascoltasse volentieri ma che fosse anche un pò in grado di seguirlo nei suoi interminabili monologhi. Il mito lo affascinava e quella volta devo riconoscere che le sue parole erano molto più sensate del solito, da qualche tempo infatti la mia preoccupazione per un suo possibile cedimento mentale era molto aumentata, quindi fu molto rassicurante starlo ad ascoltare, ovviamente non è possibile rammentare con precisione un monologo durato per ore, per quanto interessante potesse essere, ma alcuni passi non li ho mai dimenticati anche perché davano un pò una risposta a domande che io stesso mi ero posto in alcune occasioni. Anche io a volte avevo la sensazione che crescendo avessi perso qualcosa d'importante e a questa sensazione davo corpo immaginando che quel qualcosa fosse un gioco, un libro, insomma qualcosa che da fanciullo aveva riempito i miei sogni e di cui serbavo solo una vaga rimembranza, quindi ascoltavo con interesse perché quel discorso rispondeva anche ai miei stessi dubbi...
«...Ricordi le ultime parole di Kane in Quarto Potere? Rosebud! Bocciolo di rosa! E tutti cercano negli archivi delle sue proprietà qualcosa con quel nome, senza riuscire a trovarla, tutto il film si snoda su questo filo conduttore e poi nel finale, mentre vengono distrutti alcuni oggetti inutili tra essi vi è anche uno slittino dal nome semi cancellato: Rosebud! Kane giunto al termine della sua vita ha guardato indietro, ha cercato fra tutti i suoi trionfi, tra tutti i suoi ricordi qualcosa che sentiva di aver perduto e che nessuna ricchezza aveva mai compensato e guardando una sfera di cristallo con la neve che cade gli ritorna alla mente uno slittino, una reliquia smarrita di un'infanzia gioiosa poiché nulla potrà mai cancellare i momenti felici dell'infanzia, e di certo non il denaro! Di tutta la sua vita ricca di avvenimenti Kane rimpiange solo l'unico momento in cui si è veramente sentito felice e spensierato. Così noi dimentichiamo con gli anni le visioni dell'infanzia ma queste non dimenticano noi, rimangono sopite dentro di noi e spesso si riaffacciano trasfigurando la realtà per subito svanire come sono venute, fantasmi impalpabili del passato, brevi istanti in cui una foresta attraversata da raggi dorati di sole ci appare come una cattedrale, e se cerchi di trattenere quella sensazione, quella visione ti accorgi che è già svanita, non puoi nemmeno più richiamarla alla memoria, è stato solo un magico istante che ha lasciato dentro te l'amarezza di un bel sogno svanito troppo presto. Eppure è successo, per un breve istante forse, ma è successo, perché quel mondo di fantasia è più reale di quello prosaico che ti circonda, esso è tuo, l'hai creato tu, non ti è stato imposto da altri...»
A poco a poco Lorenzo finiva per tornare sempre sul suo vecchio tema preferito, la realtà del mondo fantastico, la necessità di rifugiarsi in esso o di ritrovarlo in noi stessi, questi accenni mi preoccupavano e per quanto tentassi di farlo rimanere nel mondo concreto pur tuttavia i suoi discorsi come anelli di moebius effettuavano quella torsione che dal reale quasi senza accorgercene ci riportava nel mondo fantastico del sogno e dell'irrealtà. Per quanto ci riflettessi sopra non vedevo tuttavia alcun segno di squilibrio, il discorso era logico, le conseguenze erano ovvie ma era questa sua ossessione per il sogno che non mi dava pace. Io credo che con un pò di pazienza sarei riuscito prima o poi a strapparlo al suo mondo, non ne ebbi il tempo ed è questo il mio maggior rammarico.
Lui non si accorgeva dell'angoscia che mi causava e continuava pacatamente il suo monologo, abbandonato sulla sua poltrona davanti al caminetto seguiva con lo sguardo lontane visioni che solo lui scorgeva e parlava senza nemmeno curarsi se lo stessi ancora ascoltando...
«"...Noi pur svegli sogniamo incessantemente, fantastichiamo, eppure neghiamo quasi irosamente questa magnifica attività del nostro cervello, anzi consideriamo il sogno un sottoprodotto dell'attività cerebrale eppure sappiamo bene che se un uomo venisse privato del sogno, non del sonno bada bene, questi impazzirebbe in breve tempo. Tu dici che è folle fare della propria vita solo un lungo interminabile sogno e forse hai ragione, ma ora dimmi chi è più sereno tra me e te?...»
Io in realtà non avevo detto nulla, lasciavo parlare lui limitandomi ad ascoltarlo, però non aveva torto, era esattamente ciò che pensavo e questo mi confermava che nonostante le sue fissazioni era sempre straordinariamente perspicace, in effetti io che vivevo nel mondo ero senza dubbio più ansioso, a volte non dormivo bene, prendevo ansiolitici e sonniferi, lui invece pur vivendo in una terribile solitudine e, diciamolo pure, miseria... sembrava assai più sereno di quanto fosse giusto, aveva un lavoro infame da schiavo, tornava a casa tardi ed usciva prestissimo, solo per un pomeriggio a settimana poteva girare un pò senza trovare i negozi chiusi, il suo magro stipendio veniva prosciugato dall'affitto, da rapidi pasti in uno snack vicino allo studio e dai pochi libri usati che acquistava, d'inverno l'unico lusso che si concedesse erano i ciocchetti di legno per il camino, davanti al quale amava starsene a sognare con le luci spente e all'incerto chiarore della fiamma... la padrona della pensione si era accorta di questa sua piccola fissazione e settimanalmente assieme alla biancheria lavata e stirata gli consegnava anche una scatola di quei ciocchetti rifiutando recisamente di farsi rimborsare e dicendo che quanto pagava al mese per la camera comprendeva anche qualche piccolo extra. Quindi era piacevole in quelle fredde sere invernali starsene lì ad ascoltare i suoi ragionamenti fissando la fiamma danzare nel camino, era rilassante e di questo gli ero grato, quelle poche ore settimanali mi rilassavano moltissimo eppure ero sempre oppresso da quella inspiegabile sensazione di qualcosa che stava per accadere e a cui non riuscivo a dar corpo.
Lui comprendeva quella mia sensazione di benessere ma anche di ansia e così mi riprendeva bonariamente.
«...Sono forse io che vengo da te per cercare un pò di quiete o forse sei tu che cerchi le mie visioni per smarrirti in esse e lasciarti trasportare verso quella sconosciuta terra del sogno di cui da tempo hai perso la segreta strada? No, non devi rispondere a me, è a te stesso che devi dare questa risposta, non a me. L'infanzia lascia in noi una traccia che ci accompagna per tutta la vita, da giovani conosciamo misteriose strade che portano ad un giardino segreto ma non osiamo percorrerle pur intravedendo la sua magica bellezza, poi crescendo dimentichiamo il giardino segreto, ma lui non dimentica noi, dimentichiamo la nostra infanzia, ma quel fanciullo è sempre in noi... Nell'East End di Londra un tempo i bambini dell'Abisso danzavano attorno ad un organetto con agili e sciolte movenze, seguendo ritmi spontanei mai appresi in alcuna scuola di danza ebbene, dice Jack London ne Il Popolo dell'Abisso...

...c'è un flauto magico nella città di Londra che li ruba di continuo. Spariscono e non li si vede più, li cercherete invano nella generazione degli adulti. Qui si trovano solo corpi striminziti, visi sgraziati, menti stolte e goffe. La grazia, la bellezza, l'immaginazione, l'elasticità della mente e dei muscoli sono scomparse. Alle volte vi può capitare di vedere una donna, non molto vecchia, che ha perso però qualsiasi sembianza femminile, gonfia ed ubriaca, alzare la sua gonna inzaccherata e accennare qualche passo grottesco e pesante sul marciapiede. È segno che una volta era una di quei bimbi che danzavano intorno all'organetto. Quei passi grotteschi e pesanti sono tutto ciò che è rimasto delle promesse dell'infanzia. Nei recessi nebbiosi del suo cervello è sorto il pallido ricordo di lei ragazza. La folla si avvicina. Alcune ragazzine le danzano intorno. Quindi ansima e, esausta, si trascina fuori dal cerchio. Ma le ragazzine continuano a danzare...

Questo brano che ti ho citato è una vera parabola sui valori del mondo dell'infanzia, guarda attraverso di essa, leggi tra le sue righe, oggi difficilmente troverai nella nuova Londra ciò che London descriveva all'inizio del secolo, ma l'episodio si adatta e si integra perfettamente con quanto ti ho detto sino ad ora, guarda oltre le parole, meditale, io non te le spiego..."
Quando oggi ripenso a quelle parole mi rendo conto che vi è una verità nascosta nelle parole stesse, io credo che Lorenzo poteva aspirare a ben altro, finire in una fossa dei serpenti quale è uno studio notarile era solo un tragico scherzo del destino, credo che veramente il suo destino fosse quello di scrivere, di mettere su carta il suo mondo di sogni o anche di affrontare un serio studio del mito, del sogno e della fiaba, in ogni caso non doveva rassegnarsi ad una vita dimenticata, se solo uno di quegli stolti editori avesse accettato di pubblicare qualcosa, anche un solo libro, io credo che avrebbe avuto più fiducia in sè e nelle sue capacità ed oggi non sarebbe scomparso e di sicuro le vetrine delle librerie ospiterebbero molte sue creazioni che sono invece rimaste nel limbo dei libri mai scritti....
La sua vasta cultura, le sue lunghe ed accurate citazioni rendevano i suoi discorsi preziosi ed affascinanti, a volte, è vero, si ostinava a parlare per ore di cose di pura fantasia ma sempre con gran ricchezza di citazioni, per questo non era facile rendersi immediatamente conto se l'argomento era reale o no, di certo era qualcosa che non lasciava indifferenti e che spesso mi spingeva a cercare e controllare le fonti delle sue citazioni, come per il libro di London che, lo confesso, non avevo mai sentito nominare eppure quel libro esisteva, non era facilmente reperibile dato che era stato edito da Sonzogno molti anni prima, ma riuscii ad averlo e vi trovai proprio il brano da lui citato con tanta precisione.
Le sue vaste letture non erano solo ancorate alla letteratura fantastica che vedeva come una sorta di mitopoiesi moderna ma anche allo studio del mito tout court ed in questo campo era a volte davvero arduo seguirlo dato che la sua erudizione era tanto approfondita da spaziare su gran parte della saggistica nota sull'argomento, ciò presupponeva che per seguire i suoi discorsi fossi io stesso a conoscenza di certi testi, ma non lo ero e ciò mi impediva di poter afferrare pienamente il senso delle citazioni stesse.
«...Tu mi hai posto una domanda ben precisa - in realtà seguendolo avevo del tutto dimenticato il punto di partenza! - sul significato del mito nel mondo moderno, è semplice risponderti, è insostituibile dato che l'uomo inteso come collettività non può rinunciare ad esso, così come l'uomo, inteso come singolo individuo, non può rinunciare al sogno, noi, dice Abraham...

...non sogniamo solo quando siamo addormentati, ci sono anche dei sogni ad occhi aperti. In questi sogni ci trasferiamo in un'atmosfera irreale e ci creiamo un mondo e un avvenire secondo i nostri voti.

Ossia mitizziamo la realtà attraverso la nostra coscienza interiore, Freud al riguardo aggiunge...

È molto probabile che i miti siano i residui deformati dei desideri fantastici dei popoli interi e che corrispondano ai sogni secolari della giovane umanità.

Quindi l'immaginazione rappresenta in definitiva l'esaudimento di desideri mai realizzati, per Kuhn ogni mito si fonda su una concezione della natura e quindi Abraham giunge alle conclusioni collegando indissolubilmente sogno e mito...

Nel sogno sopravvivono l'attività fantasmatica del bambino e i suoi oggetti. In luce non differente deve essere considerata l'analogia tra il mito e il sogno. Il mito trae la sua origine in un'epoca della vita della collettività da tempo finita e che potremmo definire la sua infanzia.

Quindi i miti nati nel periodo preistorico della collettività contengono reminescenze della sua infanzia, rappresentando in forma velata, attraverso i simboli, i desideri dell'infanzia della collettività. Questo è il tratto comune! Il sogno rappresenta i desideri e le reminescenze del mondo trasfigurato nell'infanzia dell'individuo, mentre il mito rappresenta i sogni e i desideri dell'infanzia della collettività. Ambedue sono frutto dell'infanzia, del singolo o del gruppo e, mentre il sogno da dormiente o da sveglio si pone come mito individuale, così il mito si pone come sogno collettivo. È per questo che l'uomo non rinunzierà mai, e per nessun motivo, alla creazione di nuovi miti o alla riscoperta dei vecchi: il mondo dell'infanzia, dei sognatori, degli scrittori e dei poeti sarà sempre popolato di impalpabili presenze, elfi, coboldi, gnomi ed altre creature si aggireranno sempre nei viali del sogno e la letteratura fantastica non potrà mai avere fine, poiché nasce dal sogno e il sogno non può avere fine! Potranno ridere di te se cercherai nella fantasia e nel sogno la tua vera vita, non li ascoltare, io non li ho ascoltati e sono più felice di quanto dovrei essere. Chi non ha perduto la chiave d'argento dell'infanzia sarà sempre molto, molto al di sopra della massa che si agita come uno sciame di mosche impazzite sulla carogna della vita. Lascia la banalità della vita a chi è ormai sordo ai richiami della fantasia o, se preferisci, vivi la vita con tutti i suoi dolori e le sue gioie, ma non dimenticare mai di sognare ad occhi aperti altre vite e vedrai che anche i dispiaceri più dolorosi svaniranno per darti quella pace che null'altro può darti..."

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Questo racconto scritto tra in epoca imprecisata (presumibilmente prima del 1985), è stato rivisto a fine dicembre 1999 ed è un preannuncio della Dimora Filosofale che è stato iniziato e mai portato a termine intorno al 1995.
Per motivi di lunghezza ho diviso il testo in due puntate entrambe presenti su questo web, (il link per accedere alla seconda parte è qui sotto).


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Il brano in background è One Man's Dream di Yanni.



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