Dimenticare Eunice? No, anche se volessi, non è assolutamente possibile!
Vi sono persone che non possono passare inosservate nemmeno nella folla schiamazzante ed oziosa della grande metropolitana di Londra, in quella folla cosmopolita che ogni anno si reca con la District al capolinea di Wimbleton per gli Internazionali di Tennis.
Eunice Kenthya Calvert era una di quelle incredibili persone che una volta conosciute ti entrano nell'anima con il loro inesprimibile fascino di primavere dimenticate...
Erano passati due anni, appena due anni dall'ultima volta che Gilberto Giustiniani l'aveva avuta accanto a sè, eppure nel suo ricordo aveva l'impressione che un baratro irridente di secoli lo separassero senza speranza da lei.
Non aveva idea di dove fosse, nè tantomeno sapeva se l'avrebbe mai più rivista, quello che era certo è che ovunque egli andasse aveva quasi la sensazione di cogliere l'eco rarefatto della risata di lei, di vedere lo scintillio del suo sguardo dorato, di sentire il lieve ed impercettibile fruscio delle sue ciglia scure come bizzarri insetti screziati...
Due anni prima, nella seconda metà del mese di giugno, Gilberto si era recato a Londra per assistere agli Internazionali di Tennis ed aveva preso una stanza nei dintorni di Finsbury Park, in una piccola pensione familiare, non classificata con le consuete stelle della Guida Michelin, ma dignitosa ed ospitale.
Per chi frequentava Gilberto, una scelta del genere poteva davvero sembrare una bizzarria, ma in realtà l'aver preferito una semplice pensione ad un più raffinato albergo di prima categoria era solo dovuto al fatto che un anno prima ne aveva conosciuto il proprietario, Roy Wright Fairchild, a Marostica, durante la tradizionale partita a scacchi in costume medioevale, partita che tra l'altro venne funestata dall'inspiegabile assassinio di un certo Ruggero Varani da parte di una giovane fotomodella, poi suicidatasi in casa di cura, Lorena Gualtieri.
La donna che impersonava la regina bianca invece di colpire il re mattato con un pugnale da teatro, si era servita di uno stiletto a lama fissa, non retrattile, con il quale aveva colpito numerose volte il giovane spasimante uccidendolo prima che gli inservienti avessero potuto impedire la tragedia. Fu Roy a rivolgersi a Gilberto per commentare l'accaduto.
«Indubbiamente gli italiani hanno un carattere alquanto passionale cui non è estraneo il gusto del melodramma...»
Gilberto non aveva del tutto condiviso il giudizio dell'inglese.
«È mia opinione che la donna non intendesse far nulla di così spettacolare, ma indubbiamente il tutto ha dato un tocco di morbosità ad uno spettacolo di per sè ormai monotono e ripetitivo.»
«Senza dubbio - aveva aggiunto Roy - ora mi tolga una curiosità questa spettacolare partita, che oggi ha avuto una svolta così inattesa, quale significato storico ha? Sulla guida vi sono almeno tre interpretazioni discordanti...»
Mentre l'ambulanza si allontanava portando il corpo della giovane vittima, Gilberto aveva invitato l'inglese e sua moglie Rayna a cena, per aver modo di rispondere esaurientemente a tutte le loro domande e con la malcelata intenzione di corteggiare la donna che dava tutta l'impressione di essere alquanto annoiata ed in cerca di emozioni. A sera si davano familiarmente del tu e quando Gilberto seppe che i suoi conoscenti gestivano una piccola pensione a Londra promise loro che avrebbe soggiornato lì quando l'anno appresso si fosse recato a Londra per gli Internazionali di Wimbleton.
Così, per mantenere la promessa fatta, un pò a malincuore rinunciò ad alberghi più raffinati e confortevoli per una pensione che, tra l'altro, era pure alquanto distante dai campi di gioco.
Pur tuttavia non rimpianse la scelta, perchè venendo meno alla promessa fatta forse avrebbe corso il rischio di non conoscere Eunice e, lo aveva scoperto subito, senza di lei la vita non aveva alcun senso.
Oh sì, erano già due anni che si torturava l'anima inseguendola da Copacabana a Sfax, da Portofino a Nuova Beirut, arrivando sempre troppo tardi, a volte separato solo di poche ore dalla sua presenza, che avvertiva ancora aleggiare nell'aria impercettibilmente in un refolo di Sphinx di Chanel. Allora socchiudeva gli occhi e gli sembrava di vederla lì, stagliarsi sui gobelins del Plaza o del Ritz o degli altri innumerevoli hotels carichi di stucchi rococò, dove lei trascorreva la sua strana vita di libellula morente, di effimera imprigionata in un sogno senza fine, di falena che fuggiva in cerca di un folle destino di morte e d'amore...
Quell'anno dunque si recò a Londra per assistere al quasi certo trionfo di Gordon Ronnie Sax, il neo astro nascente del tennis mondiale e, sia pur contrariato per la scomodità, prese alloggio alla pensione Woomera, consolandosi del fatto che la vicinanza al metrò gli avrebbe consentito di raggiungere i campi di gioco in meno di mezz'ora.
Roy, avvertito del suo arrivo per posta elettronica, si recò a prenderlo all'aeroporto internazionale e per tutto il tragitto gli accennò a quelle che erano le più autorevoli previsioni della vigilia, aggiungendo però che a suo avviso l'italiano Eros Lavizzari aveva ottime prospettive di chiudere in alta classifica, sino a sbilanciarsi nell'affermare che nell'eventualità di un incontro diretto il Lavizzari avrebbe avuto alcune chances contro lo stesso Sax. In effetti Lavizzari giunse poi quarto, dietro lo sloveno Misha ed il canadese Brian Jense, eppure alla vigilia nessuno, eccetto Roy, avrebbe scommesso un euroscudo sull'italiano e Gilberto, un pò contrariato, opinò che Roy lo dicesse solo per cortesia nei suoi confronti.
Successivamente dovette dargli credito di una notevole acutezza di giudizio e non rimase particolarmente sorpreso quando seppe che appena dieci anni prima Roy stesso era stato uno dei protagonisti del tennis mondiale e che era stato costretto ad abbandonare per sempre lo sport in seguito ad uno spaventoso incidente d'auto a Città del Messico, pur tuttavia Roy aveva saputo rientrare nell'ombra e rassegnandosi al definitivo oblio raccolse quanto gli rimaneva dopo una vita di spensierata dissipazione per aprire una modesta pensione assieme alla moglie brasiliana.
Arrivati al Woomera Roy consigliò il suo ospite di prendere confidenza con l'itinerario della metropolitana, facendo direttamente un salto a Wimbleton, sia per rendersi conto della rapidità ed efficacia della rete sotterranea, sia per svagarsi un pò, approfittandone per scegliere un posto di completo gradimento nella tribuna centrale.
Per quanto stanco del viaggio e desideroso di riposare, Gilberto finì per accettare il consiglio, prendendo a pochi passi dalla pensione la Victoria fino all'omonimo capolinea, effettuando il passaggio sulla District per raggiungere dopo una dozzina di fermate intermedie la sua destinazione.
Uscito all'aperto non potè fare a meno di chiedersi ancora una volta perchè mai Roy sembrasse tanto desideroso di allontanarlo, fino a consigliare quell'immediato e poco opportuno viaggio in sotterranea, quando in realtà non c'era tanta urgenza, ma soprattutto finì per chiedersi perchè mai lui avesse accettato il consiglio senza fare obiezioni, quando in realtà l'unica cosa che veramente desiderava era di riposarsi dalle fatiche del viaggio possibilmente con un sonnellino di un paio di ore.
Si era posto queste due domande per tutto il tragitto, almanaccando su una possibile tardiva gelosia di Roy per la moglie brasiliana che a Marostica sembrava aver particolarmente gradito le sue attenzioni, non riuscendo però a trovare una risposta soddisfacente vi rinunciò del tutto, salvo poi ricordarsene un paio di giorni dopo, quando aveva già conosciuto Eunice, trovando con ciò insospettate risposte a quelle che aveva creduto fossero solo curiose coincidenze.
In quel momento credeva ancora che in ogni avvenimento vi fosse come un'impalpabile predestinazione e che fosse proprio in virtù di quella non prevista escursione a Wimbleton che conobbe Eunice, il fatto di venire a sapere un paio di giorni dopo come tutto fosse stato in realtà sapientemente organizzato, in sostanza non modificò la sua opinione, tanto che più volte si chiese in seguito se il destino stesso non avesse combinato nel corso degli anni tutto quello strardinario insieme di fatti e circostanze al solo scopo di favorire il suo incontro con Eunice, quell'incontro che avrebbe trasformato la sua vita in una interminabile corsa per il mondo, sempre di poco in ritardo, dietro a colei che fuggiva lasciando dietro di sè, come Arianna, il segno evanescente del suo passaggio, per attirarlo sempre più in quel viaggio senza fine verso il tramonto.
Giunto a Wimbleton, Gilberto non trovò nulla di meglio da fare che acquistare il programma e prenotare il posto sul palco coperto, poi si mise a girare senza meta, per rilassarsi un pò dalla stanchezza del viaggio da Roma.
Dopo un quarto d'ora di ozioso girovagare decise di sedersi su una panchina per respirare l'aria tiepida della sera ormai imminente.
Fu proprio allora che lei gli apparve come una ninfa dei giardini, splendida e sfuggente amadriade, con i lunghi capelli di fiamma purpurea incendiati dai bagliori dei sole al crepuscolo.
Lui rimase senza parole, guardandola venire verso di sè, mentre gli altri occasionali ospiti del parco giravano la testa al suo passaggio.
Gilberto si alzò prontamente in piedi, chiedendole se poteva esserle di aiuto in qualche modo. Lei lo osservò obliquamente, annuendo, mordicchiandosi le labbra mentre lo esaminava con attenzione, poi con le dita sottili prese dalla spalla destra il piccolo scarabeo vivente, sul cui dorso chitinoso scintillava uno smeraldo incastonato e lo riportò sul petto lasciandolo zampettare nel vuoto, appeso alla catenina, fino a che, rigiratosi, quello non ritrovò la presa e ricominciò la sua silenziosa esplorazione.
«Sì -lo guardava con gli occhi scintillanti come fuochi dorati - lei può essermi utile. Ho appena saputo che lei ha acquistato l'abbonamento per un posto nella tribuna centrale. Potrebbe cedermelo? Al prezzo che vuole, naturalmente!».
Sorrideva, ora lo scarabeo si era fermato sul suo mento, come un grottesco neo nero e verde, sfiorandole le labbra con le antenne.
Lei lo tolse con aria annoiata ed attese la risposta.
Nella luce fiammeggiante del crepuscolo lei appariva come una madonna preraffaellita di Dante Gabriele Rossetti, i capelli le donavano un'aureola di scintillii ramati, Astarte, Cleopatra, la regina di Saba, e chissà quante altre ancora, si fondevano nei suoi lineamenti, nella sua pelle cosparsa di iridescenti fiammelle auree. Lo scarabeo era immobile, solo il frenetico oscillare delle antenne ne agitava la testa crestata, mentre lo smeraldo incastonato nel dorso chitinoso scintillava catturando i raggi del sole al tramonto.
Si riscosse dal suo ipnotico torpore quasi con un sobbalzo.
«Quando ho preso il posto alla biglietteria nel palco coperto vi erano ancora un paio si settori liberi, possibile che già siano stati prenotati?»
Scosse la testa, lo scarabeo perse la presa e zampettando si riarrampicò sul collo.
«Posti ve ne sono ancora, ma il suo è il 19, io prendo sempre il 19 ovunque...».
Lui estrasse il biglietto dal portafoglio e lo controllò.
«È vero, è il 19». Glielo porse e lei lo prese con un sorriso, poi dalla borsetta ne trasse fuori un piccolo borsellino in pelle di cobra, per pagarne il prezzo.
Lui scosse la testa con un sorriso «Considererei davvero offensivo esserne rimborsato, lo consideri... un modesto omaggio alla sua straordinaria bellezza!».
Le labbra di lei si contrassero appena in un sorriso abbozzato, mentre le prime ombre della sera andavano disegnando sul suo volto un'inquietante immagine arcana.
Il sole era ormai tramontato e nella penombra i suoi occhi avevano cominciato a risplendere come quelli di una splendida gatta fulva, le fessure verticali delle pupille, allora di moda, si restrinsero scrutandolo fisso.
«Non posso accettare...»
«Allora mi ricambi con il piacere della sua compagnia, conosco un ottimo ristorante italiano a Bond Street, ci arriviamo in pochi minuti con la metropolitana, c'è una fermata della Central a pochi passi da lì, non mi dica di no.».
«D'accordo allora, ma dato che detesto la cucina italiana, sarò io a scegliere un posto più gradevole».
Lui la seguì all'uscita e, dopo una breve sosta alla biglietteria per acquistare un nuovo abbonamento -il 18-, presero la District fino ad Earl's Court e da lì la Circle, scendendo ad Euston Square.
Durante il tragitto in metro tutti i passeggeri non potevano fare a meno di lanciare di tanto in tanto sguardi di sottecchi alla donna, ma lei li ignorava e continuava a giocherellare distrattamente con lo scarabeo che, coricato sul dorso, le zampettava in mano freneticamente, cercando di riprendere la posizione diritta.
Una volta scesi ad Euston Square lei si diresse verso un piccolo ristorante giavanese. Cenarono assaporando bizzarri intingoli dai nomi esotici, mentre i camerieri sussurravano tra loro, indirizzando sguardi indecifrabili all'indirizzo di Eunice.
Nella luce soffusa del locale il suo vestito aveva assunto le bizzarre colorazioni di un Mondrian e lei stessa sembrava appena uscita da un quadro di Kandinskij.
Gilberto ne era abbagliato e pensava con angoscia al momento in cui l'avrebbe dovuta salutare, ne era già innamorato alla follia ed ancora non lo sapeva.
Poi d'un tratto la guardò e sorrise bizzarramente. Lei lo fissò con malcelato stupore.
«Ma si rende conto - disse lui - che siamo insieme da un paio d'ore ed ignoriamo persino i nostri nomi?»
Le tese la mano presentandosi. Lei fissò senza interesse lui e la sua mano tesa e riprese a mangiare in silenzio del pesce-angelo.
Lui ritrasse la mano lentamente, con vago senso di disagio.
«La prego di scusarmi, ma non credevo che presentarci fosse un gesto così sgradevole, conoscere il suo nome mi avrebbe fatto davvero piacere.»
Lei giocherellò un pò con le bacchette di giada, poi le ripose nell'astuccio e fece un gesto quasi impercettibile, un cameriere apparve prontamente portando via il piatto per poi ritirarsi con la massima discrezione nella penombra.
«Mi chiamo Calvert, Eunice Kenthya Calvert, ora è soddisfatto?».
Lo scarabeo ora pendeva appeso alla catenella d'oro incastrata nella scorza chitinosa, poco sopra lo smeraldo, e roteava e zampettava come impazzito.
Gilberto avvertì la freddezza della risposta di lei ed il resto della cena ebbe luogo nel più assoluto silenzio.
Quando giunse il conto infilò sul piattino una banconota di grosso taglio e fece cenno di portar via, senza neppure controllare quale fosse l'importo dovuto.
Si avviarono verso l'uscita e lui fece il gesto di aprirle la porta, rinunciando subito dopo aver visto il suo sguardo sprezzante.
Cominciò ad avvertire un certo disagio, non gli riusciva di comprendere il motivo di tanta improvvisa freddezza. Comunque non lasciò trapelare i suoi pensieri, le chiamò un taxi e la guardò salire, senza nemmeno osare un cenno di saluto, si contentava di vederla andar via prima di tornarsene al Woomera.
Lei si sporse dal finestrino e lo guardò con curiosità.
«Non sale?».
Lui rimase così sbalordito che lei dovette ripetere la domanda una seconda volta, poi con un sospiro di sollievo si accomodò accanto a lei.
Nella luce incerta, gli occhi cangianti della donna avevano assunto una colorazione di un intenso verde fosforescente.
Gilberto non osò dire una parola per tutto il tragitto ed una volta giunti a Leicester Square pagò la corsa, mentre lei sul marciapiede lo attendeva accendendosi una sigaretta egiziana.
La seguì in assoluto silenzio fino al suo appartamento, ritrovandosi, una volta entrato, in un folle ambiente art noveau, carico di decorazioni floreali e di dipinti alla Beardsley.
Mentre lui si guardava intorno con vivo stupore, lei sganciò lo scarabeo dalla catenella e lo depose in un piccolo terrario, dove questi si mise subito a zampettare con gioia. Poi gli indicò il bar ed uscì dal salotto.
Gilberto si versò un Chivas e si sedette in poltrona scuotendo la testa, non riusciva a comprendere il comportamento di Eunice, lei sembrava prendersi gioco di lui, in un modo così indecifrabile e sfuggente, che rendeva impossibile ogni tentativo di spiegazione.
Lui non riusciva a capirla, ma forse, cominciava a rendersi conto, preferiva continuare a non capire.
Su un cavalletto c'era una tela lasciata a metà. Vi si accostò.
Rappresentava un uomo immerso in un paesaggio da incubo, i colori erano accostati in un modo incredibile e la figura ne emergeva come da un mare di magma ribollente. Sullo sfondo una creatura, metà donna e metà scorpione, come un'orrenda manticora sembrava in attesa del compiersi di un evento oscuro e raccapricciante. Ma ciò che mise addosso a Gilberto un'agitazione strana ed insopprimibile furono i volti dei due personaggi della tela.
La donna era Eunice, e su questo non c'era alcun dubbio, mentre l'uomo... ebbene l'uomo aveva il volto di Gilberto! Inoltre tutto il bordo della tela era un fregio elaborato fino alla minuzia più ossessiva in ghirigori, spirali, vortici di colore ribollente e fuso in mille rivoli come plasma. Sembrava che si fossero lasciate cadere sulla tela un gran numero di gocce di tutti i possibili colori e che poi si fosse girata e rigirata la tela stessa fino a lasciar scorrere quei colori, che mescolandosi tra loro finivano per formare una filigrana onirica a tratti intramezzata da globuli di tinta fluorescente e metallica.
Il risultato era qualcosa di tanto morboso e malsano da risultare quasi blasfemo come nella fusione tra la donna e lo scorpione.
Pur tuttavia nel momento stesso che Gilberto la vide, desiderò possedere quella tela con tutta l'anima, così come con tutta l'anima desiderava la donna che l'aveva dipinta...
Alle pareti, nascosti da drappi di damasco, vi erano altri quadri e in ciascuno di essi i loro volti troneggiavano in immagini decadenti e morbose.
Alcuni di quei quadri erano nello stile lussureggiante di Klimt, in altri campeggiavano le architetture sconvolte e topologiche di Escher, o l'ossessivo onirismo di Magritte, Dalì, Folon... in altri d impronta prettamente manierista, si riecheggiava la ritrattistica composita arcimboldiana ed il volto di Eunice appariva formato da grappoli d'insetti, scolopendre, scorpioni e grossi ed improbabili aracnidi screziati, mentre lui affiorava dall'abisso magmatico di guazzi di colore, sotto l'aspetto di una fosca congerie di volti spettrali ed inumani, colti nell'attimo terminale di un insopprimibile orrore ultraterreno.
Ovunque, in tutti gli stili, sempre loro due in un perverso duetto di morte e di folle dissoluzione.
Dietro un pesante drappo di velluto nero vi era un ultimo quadro, il più grosso, già inserito in una pesante cornice di stile barocco, carica di volute e di fregi scolpiti.
Gilberto stava per scoprirlo quando la voce di Eunice lo raggiunse dalla stanza accanto. Lasciò ricadere il drappo e si recò immediatamente da lei.
La stanza era la più incredibile galleria di quadri che lui avesse mai visto, quadri di Modigliani, Mirò, Mondrian, Escher, Dalì, Kandinskij, Warhol, Klee, Boccioni ed altri, tutti riuniti in un unico luogo, senza un collegamento di stile tra loro, ma incredibilmente adatti l'uno all'altro, pur nella loro stridente diversità.
Continuò a vagare con lo sguardo sulle pareti, passando dal sorprendente "This must be the place!" di Roy Lichtenstein alle stampe decadenti di Von Bayros, dalle "Tre Spose" di Toorop alla "Morte e Vita" di Klimt, dal "Canto Notturno" di Lummick alla "Fanciulla chiamata Inverno" di Delvaux.
Gli autori erano accostati senza un filo logico, eppure quelle connessioni apparentemente casuali tra un Kirchner dalle pennellate violente e dalle figure sgraziate ed i geroglifici dinamici di un Severini, tra la scissione cinetica di un Balla e la ricerca astrattista di Kupka, quei quadri godevano di un intimo rapporto interiore.
Continuò a seguire con lo sguardo le tele, Duchamp, Man Ray, Braque ed il magico "Incantatore di Serpenti" di Ranson, e poi ancora il torbido Munch contrapposto alla dolcezza romantica del preraffaellita Rossetti, che spiccava tra gli altri come un isola di quiete, ed infine proprio sulla porta da cui era entrato, spiccava la quinta versione de "L'Isola dei Morti" di Bocklin.
Dopo questa esplorazione delle pareti della stanza, lui si girò di nuovo verso il centro di essa e vide Eunice sdraiata in silenzio su un letto tondo, circondato da tre giganteschi schermi olovisivi. Era sdraiata al centro del letto, come uno splendido ragno in attesa della preda.
Era nuda, ingioiellata ed avvolta di veli trasparenti come una "Salomè tatuata" di Moreau, come una splendida principessa barbarica di Boris Vallejo.
I suoi occhi di gatta erano opalescenti ora e la sua pelle cosparsa di impalpabili corpuscoli aurei scintillava alla luce soffusa delle lampade liberty.
Con un brivido Gilberto ricordò la tela incompleta in cui Eunice si era ritratta come donna-scorpione e, soprattutto, si domandò con un vago timore indecifrabile cosa vi fosse sulla tela coperta dal pesante drappo di velluto nero, quella stessa che stava per scoprire quando gli era giunto il richiamo suadente ed imperioso della voce di lei.
Si accostò al letto circolare, simile ad una ragnatela di seta e damasco e si lasciò attirare da Eunice.
L'ultimo ricordo cosciente di quella sera, fu quello sguardo fosforescente ed ipnotico, quegli occhi dalla sottile fessura felina riempirono tutto il suo campo visivo e l'odore penetrante di Sphinx gli salì alla testa, destando in lui cupi bagliori ed immagini dimenticate.
Gilberto perse la conoscenza e nella sua memoria rimase solo un vuoto inspiegabile.
Questo capitolo, scritto nell'aprile 1980, costituisce il primo capitolo di un romanzo quasi interamente abbozzato ma di cui solo i capitoli presenti in web appaiono nella veste definitiva.