Le rovine della città erano parzialmente sepolte dalla sabbia ramata, a tratti affioravano le mura di un'abitazione o di un edificio di culto, pur tuttavia la cittadella era quasi intatta, solo l'abbandono che per secoli aveva infierito contro gli edifici deserti era riuscito qua e là a far rovinare qualche muro, a sbreccare un patio maiolicato, a rendere indistinte le immagini intarsiate nelle nicchie di opale lungo il Viale dei Re.
La storpia figura che ora si trascinava nella città dimenticata a tratti si fermava ridacchiando nel contemplare un nome o un'immagine, poi senza indugiare si diresse verso la cittadella, verso l'antico palazzo dove l'ultimo re senza nome aveva dominato la sua gente passando dalla più insana efferratezza sino alla pazzia furiosa, ordinando che alla sua morte tutti gli abitanti si suicidassero per seguirlo nella terra di O dove le anime vagano in attesa di un'impossibile resurrezione.
La città alla morte del re folle si spopolò nel giro di una notte, molti fuggirono nelle tenebre, sfuggendo ai sacerdoti cremisi, abbandonando nella città condannata i loro parenti, gli altri morirono... Quelli che tentarono di tenersi la vita la persero sotto gli artigli affilati dei sacerdoti cremisi, gli altri preferirono darsi la morte con le proprie mani e forse furono i più fortunati.
Nel giro di una sola notte la città perì accompagnando il folle monarca nel regno di O, troppo era il terrore che egli aveva saputo instillare negli abitanti con le sue nefande scelleratezze.
Si diceva che avesse ucciso con le sue mani un demone stregone che calcava il suolo di Zotar da oltre trentamila anni...
Chi avrebbe osato sfuggire all'ultimo volere del re...
Quelli che fuggirono nella notte in parte perirono nell'attraversare il deserto dipinto, ma i sopravvissuti raggiunsero alla fine, stanchi e stremati, la città di Orgha posta a nord oltre il deserto dipinto e la Valle delle Anime, lì vissero cancellando dalla propria mente il nome della città abbandonata e quello del suo ultimo re, il nome dell'ultimo re che continuava a rimbalzare nella mente per trasformare le notti in incubi e le giornate in tremebonde attese di un qualcosa che sembrava essere appena fuori del campo visivo, ma incombente e minaccioso oltre ogni ragione.
L'ultimo re era morto, nessuno sapeva come, si diceva di una stanza segreta e di demoni iperurani scatenati incautamente, nessuno vide il re morto, ma tutti seppero della sua morte nel momento stesso in cui avvenne, erano legati a lui come le radici ad un albero, i pallidi vermi al cadavere che li nutre, le stelle morenti al velluto nero del cielo.
Nel giro di una sola notte la città perì... accompagnando nel regno di O il folle sovrano Adomphas...
Lo storpio continuava ad aggirarsi tra le rovine fregandosi di tanto in tanto le mani callose, poi finalmente raggiunse l'entrata del palazzo reale, si inerpicò a fatica tra i rovi e le rose del deserto, scorticandosi più volte, fino a passare sotto i muri crollati della torre di guardia, scivolando ombra fra le ombre attraverso i corridoi scoperchiati in cerca della scala nascosta che conduceva alle segrete.
«Cosa cerchi in questo luogo dimenticato dal tempo, storpio, il sonno dei morti non è degno del tuo rispetto?»
Il sacerdote cremisi era comparso all'improvviso, senza far rumore, tra le statue acefale di basaltite, ed ora attendeva impassibile la risposta alla sua domanda.
La luce della torcia guizzava dando strane ombre alla maschera d'avorio del sacerdote, a tratti gli occhi apparivano e scomparivano, giallastri e venati, spettrali con le loro pupille rettiliane, inumani come il corpo odiosamente gibboso del sacerdote...
Nessuno sapeva cosa si nascondesse sotto la veste di un sacerdote cremisi, si narrava sottovoce che gli adepti subivano tali e intollerabili violenze fisiche da perdere ogni diritto ad essere ancora considerati esseri umani, si narrava la storia del menestrello Nahluce che osò nascondersi nel tempio per spiare i sacerdoti cremisi e cantare del loro reale aspetto...
Nahluce non scrisse mai la sua canzone, fu trovato il giorno dopo in un fosso vicino al tempio, era privo di occhi, era rosicchiato in più punti, i suoi arti erano stati strappati via ed il suo sesso... beh vi sono torture che ben difficilmente una mente sana può immaginare ma i sacerdoti cremisi non sono sani di mente...
Di certo egli era stato cosciente sino all'ultimo istante, di certo vide cosa si celava sotto la tonaca e forse l'orrore di ciò che vide fu per lui più intollerabile della spietata sorte che subì per la sua prodezza.
Lo storpio sussultò.
Il sacerdote cremisi aveva le braccia conserte e gli artigli luccicavano sinistramente alla luce della torcia.
«Queste rovine sono abbandonate, ignoravo che voi sacerdoti di Mordiggian ancora abitaste il vostro tempio, non temete, non intendo profanarlo, ben altro io cerco tra queste mura muschiose, forse potreste aiutarmi ed io compenserei con riconoscenza il vostro dio e voi che ne siete gli eletti guardiani...»
L'altro rimase impassibile, la maschera senza espressione, risuonò delle sue parole.
«Storpio, hai la lingua sciolta, nessuno dà ordini ad un sacerdote cremisi, non credo che tu abbia qualcosa che possa interessare il sommo dio, all'infuori della tua linfa vitale e dei tuoi occhi, accetterò i tuoi occhi...»
Protese gli artigli verso il volto dell'altro che rimase immobile, come ipnotizzato dai giochi di luce sulla maschera d'avorio.
«Calma la tua ira prete, lo storpio è un mio servo.».
Tra le rovine avanzò una figura gibbosa, curva per gli anni, con il capo celato in un cappuccio grigio.
Il sacerdote ritrasse gli artigli scrutando il nuovo venuto, poi sembrò come se la stessa maschera d'avorio impallidisse.
«Mordiggian è un dio giusto e non è tuo nemico, Dwerulas, il tuo servo poteva ben dire che tu eri il suo padrone, non avrei interferito nella ricerca.».
Il sacerdote cremisi chinò il capo e disparve tra le rovine, silenzioso come un'ombra.
Lo storpio si girò verso il negromante indicando con l'indice adunco le scale che portavano alle segrete.
«Lì è ciò che voi cercate signore.».
Dwerulas annuì, si guardò attorno con aria soddisfatta, poi con indifferenza stese la mano sinistra tracciando un segno nell'aria oscura.
«Mi hai servito, non mi occorri più.».
Lo storpio osservò con indifferenza il gesto del padrone, poi a poco a poco cominciò a mutare, la pelle divenne oleosa e grigiastra, gli occhi rientrarono nelle orbite e subito ne sbucarono fuori pallidi vermi. La sua veste cenciosa nascondeva a fatica la mutazione, alla fine si disfece in un grumo di vermi ciechi e gonfi, che guizzarono in tutte le direzioni immergendosi nella terra. Rimase solo la veste cenciosa dalla quale a tratti ancora emergeva qualche ritardatario, lo storpio era tornato alla terra da cui era stato ridestato per ordine del negromante.
Lo storpio era tornato alla terra e Dwerulas già dimentico scendeva per la scala che portava alle segrete, i gradini erano grassi di sudiciume, colore del lardo rancido e a tratti nella discesa i piedi scivolavano su qualcosa di innominabile che si trascinava nelle tenebre striando quegli stessi gradini di bava vischiosa e fetida...
La torcia guizzava nell'aria spessa, lacerando veli di ragnatele antiche e cariche di polvere, come immensi sudari adagiati a coprire le spoglie di un monarca straccione, a tratti dalla penombra emergevano piccole nicchie dove teschi deformi ridevano con denti spezzati come di una burla nota solo a loro, alcuni di essi nelle deformità delle orbite, nelle terribili ammaccature occipitali, nei fori delle ossa parietali lasciavano intuire terribili storie di torture e di orrori senza nome, ma forse di questo ora ridevano in segreto, di esser sfuggiti a quegli orrori per adagiarsi con un torpido abbandono ai mille sogni incompiuti del Regno di O...
Quelle nicchie erano decorate con storie di antichi dei ed eroi, ma anche la gloria della battaglia più eroica passa come passa l'onda della risacca, e scomparse erano le città allora pegno allettante della vittoria, scomparsi i Viali dei Re del Deserto Dipinto, scomparso anche l'immane Onirion di Shanga, dove i sacerdoti del Dio Morto trascorrevano l'intera vita immersi in un sogno drogato...
Dwerulas illuminava al suo passaggio le nicchie e per un istante le antiche glorie si levavano dal polveroso sudario di secoli di oblio...
Le vecchie storie dimenticate erano ormai solo vaghe ed indecifrabili leggende, corrugate rune del tempo, irritanti granelli di sabbia nell'occhio di dio...
In una delle centinaia di nicchie decorate che costellavano la scala che portava alle segrete l'effige di un volto strappò al negromante una sarcastica risata...
«Ah Jarash... povero stolto, credevi di rubare a me i segreti del talismano di Hub, credevi di poter prendere il mio posto... stolto! Se solo sapessi quanti hanno provato in passato a spossessarmi dei miei segreti! e dove sono ora? sono diventati polvere o vizze mummie utili solo ai deformi alchimisti della Città di Giada che dal loro cervello polverizzato ricavano la Polvere dei Sogni...».
Il teschio non rispose e Dwerulas tracciò nell'aria un segno dimenticato e subito le orbite vuote brillarono di una sinistra luce purpurea e dai varchi tra i denti spezzati ne sibilò fuori una voce carica di odio, di rancore ma anche di disperata implorazione...
«Cosa vuoi Dwerulas? Perchè mi richiami dalla grigia terra di O? Non hai punito abbastanza il mio folle orgoglio di un tempo?»
Dwerulas rise.
«Non è mai punito abbastanza chi intralcia il mio cammino, ora tu sei morto e non puoi più intralciarmi e credi con questo di essere sfuggito alla mia collera, ma correggeremo questa dimenticanza, ti imprigiono nel tuo stesso teschio, non tornerai più nella terra di O, resterai qui a rimuginare fino alla fine degli eoni sul tuo errore di allora e quando sarai polvere vedrai con occhi di polvere il deserto e nessuno ascolterà mai più il tuo lamento, Jarash io ti imprigiono per l'eternità, mai più attraverserai i grigi campi di O, mai più passeggerai con la tua compagna Lethé, ma sarai solo fino a che gli eoni si disgregheranno in rivoli di polvere, solo con i ricordi, solo con la tua inutile disperazione...»
«Che tu sia dannato Dwerulas, che tu sia maledetto per l'eternità, ho implorato il tuo perdono, ho pagato con la vita ed ora mi condanni ad una morte nella morte, mi neghi persino i campi di O, che sono concessi anche all'ultimo dei criminali... Che tu sia dannato infame nano gibboso, un giorno troverai anche tu chi porrà fine a millenni di angherie e di vili persecuzioni, tu non rispetti nemmeno il sonno dei morti e saranno i morti un giorno a vendicarci, sarà lo stesso Dio Morto a schiacciarci sotto il suo tallone!...»
Dwerulas scosse la testa sogghignando.
«Taci stolto - e il teschio tacque di colpo, solo i corruschi bagliori nelle orbite vuote tradivano l'ira e l'impotenza - il Dio Morto è solo leggenda, l'Onirion di Shanga era solo una spettacolare ed illusoria creazione per attirare gli ingenui, illusoria come la leggenda del Libro Circolare, nessun Dio Morto mi schiaccerà sotto il tallone perchè presto sarò io stesso un dio quando i segreti del deserto di ghiaccio saranno nelle mie mani... Stolto Jarash nella tua mente meschina ti contentavi di un limitato potere quando i segreti dell'universo attendono solo di essere carpiti da un'avida mano...»
Tacque e per un istante la sua mente avida si perse nei ricordi... su un antico testo, troppo antico per la memoria umana aveva letto dei mondi incatenati, del diadema di pianeti, centinaia e centinaia di mondi collegati tra loro da inimmaginabili ponti di basalto, di alabastrite, di malachite, di ossidiana... superbi piloni che sostenevano arcate di dimensioni titaniche, arcate più grandi dell'orbita di un pianeta, balaustre e camminamenti scolpiti con demoni e divinità di lontani universi-isola, terrazzamenti, cunicoli, labirinti di sale disertate da eoni, e soprattutto il segreto di un potere oltre l'immaginabile, il segreto della stella vagabonda dove lo stesso dio creatore dormiva dall'inizio del tempo immerso in un sogno senza fine...
Si... un circolo di pianeti che si estendeva per un'intera regione del cielo, che si diceva formasse lo stesso occhio della Costellazione dello Sciacallo e quando alla notte quella sorgeva ad oriente Dwerulas fremeva dal desiderio di calcare i consunti gradini delle immense scalee che collegavano i piloni planetari alla cripta dove la stella vagabonda imprigionata in un astuccio di stasi ardeva i suoi ultimi bagliori celando nelle sue inconoscibili viscere il creatore dormiente.
Aveva atteso millenni che la lenta radiazione della rossa stella artificiale del giardino compisse la sua opera sul cervello del morto tiranno Adomphas, ma ora era tempo di verificare se era possibile leggere le aree antiche del suo cervello, sfogliandole come un libro polveroso, scartocciando i ricordi come una cipolla ed accedere infine alla memoria razziale, dove, ne era certo, vi era celato un segreto antico e terribile, il segreto per trasferirsi con la velocità del pensiero da questo pianeta miserabile alle scalinate di nera basaltite che conducevano dall'anello esterno della catena dei mondi alla cripta artificiale, cesellata dallo stesso dio creatore, dove la rossa Stella Vagabonda levitava, imprigionata in un campo di stasi, come uno sfavillante rubino sul velluto della teca di un mastro gioielliere.
Dwerulas schioccò le labbra con avidità, il segreto della creazione era là, accanto al dio creatore dormiente, e nel remotissimo passato una civiltà aveva trovato il segreto della proiezione astrale, una civiltà scomparsa sotto i ghiacci australi, lì vi era ancora la porta che conduceva con un titanico balzo ai piedi della Scalinata di un Milione di Anni, al termine della quale vi era l'accesso alla Stella Vagabonda, al Dio Dormiente... al segreto della creazione...
Scendendo per la scala ripida e viscida, rievocava i passati giorni del regno del folle Adomphas, sogghignò al ricordo, tante volte il re si era chiesto da dove sbucasse lo stregone, Dwerulas compariva sempre al momento opportuno, un istante prima non c'era, un istante dopo era lì come se nulla fosse... sembrava uscire dai muri ed in effetti quella era la verità... i demoni al servizio del negromante nel corso di una sola notte avevano crivellato la reggia di un fitta ragnatela di cunicoli, passaggi, scale segrete, doppi fondi... le pareti della reggia era spesse, fatte di enormi lastroni di granito e di nera basaltite, e in ognuno di essi era stato scavato un passaggio, più o meno agevole a seconda dello spazio disponibile, cosicchè non vi era una sola stanza, per quanto piccola che potesse sfuggire al controllo del negromante, lui era ovunque... e dove lui non era presente vi era di sicuro un demone al suo servizio che controllava, vigile e solerte, per poi riferire al padrone... e in ogni stanza della reggia nessuno poteva sentirsi al sicuro, al negromante era sufficiente puntare un dito ed il basalto diventava morbido come nebbia di palude e lui poteva fluire attraverso di esso per entrare, ospite non richiesto, e compiere a volte odiose vendette per poi sparire attraverso i muri...
E così i cunicoli, le scale segrete erano piene di nicchie ed in ognuna di essa un cranio, appartenuto ad un lontano nemico, giaceva per l'eternità, folle gioiello di una collezione iniqua e per ognuno di essi il negromante aveva parole di scherno, di vile beffa... e a volte quando l'odio lo pervadeva fracassava quei miseri resti con un pugno e poi subito evocava un demone per rabberciarli, per non dover rinunciare nemmeno ad uno di essi...
Jarash, ad esempio, era stato uno dei tanti che erano caduti vittime del suo odio, forse uno dei più pericolosi, abile negromante, per lungo tempo era stato una spina nel fianco di Dwerulas, ma alla fine anche lui era finito nella fosca collezione di nemici ed avversari abbattuti...
Mentre scendeva ricordava quante volte aveva spiato attraverso i muri gli abitanti della reggia, ospite non visto ed insospettato, e quante volte il granito e la basaltite si erano dischiusi davanti a lui per farlo accedere in una stanza dove dormiva ignara una ancella, che al mattino veniva trovata straziata nei posti più impensati, nessuno aveva visto e nessuno capiva come fosse successo... a nulla serviva vegliare davanti ad una porta per proteggere il sonno e la vita di una persona cara, perchè l'orrore passava attraverso i muri, silenzioso e sfuggente, invisibile e mortale come un cobra...
Dwerulas non aveva desideri come ogni altro essere mortale, il suo unico godimento era seviziare, ma a differenza del folle Adomphas non si limitava ad uccidere le sue vittime, ma le richiamava dal Regno di O per continuare a torturarne le anime, nemmeno la morte era una fuga per chi cadeva nelle sue mani perchè dalla morte venivano richiamati indietro per essere torturati in un modo inconcepibile, dissolto il corpo era lo spirito ad essere straziato e lo spirito poteva soffrire in un modo che nessuna tortura fisica avrebbe mai potuto eguagliare.
Mentre scendeva seguiva con gli occhi lo snodarsi dei simboli pittografici alle pareti, a volte il muro si apriva su un passaggio laterale, a volte, là dove lo spessore delle paeti lo consentiva, vi erano vere sale di osservazione, balaustrate dalle quali Dwerulas poteva controllare dall'alto, ma sempre nascostamente lo svolgersi della vita nella reggia, nessuno era mai stato al sicuro, nessun luogo era al riparo dai suoi occhi indiscreti e penetranti, Dwerulas era ovunque e nei muri era celata una fitta ragnatela di cunicoli... e ora di quella sterminata ragnatela di corridoi scavati nel basalto e nel granito restava ben poco, dell'intera reggia restava ben poco, e la stessa città di Noroc-Nai era solo un devastato ammasso di rovine che cedeva a poco a poco al torbido abbraccio del deserto...
Solo il cunicolo a spirale dell'antica scala che conduceva al giardino era rimasto in piedi, tutti i cunicoli secondari portavano solo ad ammassi crollati di mura putride...
Già! Dwerulas scrollò la testa, troppe volte aveva visto città orgogliose divenire polvere, imperi divenire ricordi, la sua inumana vecchiaia era popolata di siffatti ricordi e lui segretamente gioiva nel calpestare le ceneri dei re che un tempo aveva servito, sogghignava mentre si aggirava per le alcove segrete e rideva cupamente ad ogni tonfo soffocato che da qualche parte si levava al crollo di un muro fradicio.
Nulla resiste al tempo, nulla di umano, ma Dwerulas non era del tutto umano...
Mai nei millenni della sua vita passata aveva provato un lampo di commozione, un sentimento che potesse essere scambiato per compassione, mai un affetto, tutto ciò sarebbe stato in contrasto con la sua natura e lui non ne sentiva affatto la mancanza, anzi godeva dell'altrui sofferenza, ed il generoso coraggio con cui taluni offrivano se stessi alle torture più feroci per risparmiare le proprie donne era per lui motivo di irridente sarcasmo, in genere costringeva le sue vittime ad assistere alle più feroci torture inflitte ai loro congiunti e poi dato che non riteneva di essere in obbligo verso qualcuno si dedicava con pari impegno a torturare quelle stesse persone per le quali altri avevano sopportato e subito le più infami scelleratezze, spesso proprio davanti ai loro stessi occhi incurante delle maledizioni scagliate dai morenti.
Ricordi, milioni di ricordi, e nessun rimpianto, la sua strada si snodava nei secoli incurante di chi si opponeva al suo avanzare, era facile abbattere i suoi nemici e non si era mai posto il dilemma se risparmiarli o no, l'unica cosa che faceva palpitare il suo cuore era il sogno di poter un giorno avere tra le mani il segreto della creazione ed ora quel momento era vicinissimo, solo in un cervello umano vi era quel ricordo che lo avrebbe portato ai piedi della Scalinata di un Milione di Anni, ma era celato oltre i ricordi personali e atavici, bisognava risalire alla memoria razziale e quella era ben custodita all'interno del cervello rettiliano, irraggiungibile per chiunque ma non per il torbido Dwerulas, sin dal primo momento aveva avuto ben chiaro in mente di servirsi dello stupido re folle ed aveva posto nel giardino quel sole artificiale che con la sua radiazione lenta avrebbe a poco a poco alterato le cellule cerebrali del re, contava infatti di farlo sparire, imprigionarlo nel giardino in stato di morte apparente, poi inaspettatamente gli eventi avevano subito una svolta inattesa, Adomphas aveva abbattuto Dwerulas con colpo di vanga, per la prima volta in trentamila anni Dwerulas aveva allentato la sorveglianza ed uno stupido re folle aveva dato un diverso corso agli avvenimenti... ovviamente Dwerulas non poteva essere sconfitto con tanta facilità, là dove il verde Jarash aveva fallito non poteva aver miglior sorte un re inetto e debosciato, e così ora Dwerulas stava tornando in quello stesso giardino dove migliaia di anni prima qualcuno aveva spaccato il suo cranio con un colpo di vanga e quel qualcuno stava ora per pagare a caro prezzo quell'atto di ribellione, quel qualcuno giaceva lì in attesa, morto ma cosciente, il cervello mantenuto vivo dalle radiazioni dello strano sole rosso era pronto per essere letto a ritroso sino a quel ricordo che si cela nella parte più antica del cervello umano...
Le narici di Dwerulas ebbero un vibrante fremito, come quelle di un ghoul che si appresta a saziare la sua fame con le carni ben frollate di un cadavere, ed il paragone era quanto mai adatto perchè Dwerulas stava per aprire un cranio per estrarne un cervello ancora vivo e saziarsi di esso.
La lunga scalinata a spirale era terminata, di fronte vi era solo uno spesso strato di basaltite nera, il gobbo negromante stese una mano e la basaltite divenne nebbia e lui l'attraversò con irridente facilità per ritrovarsi nell'anticamera del giardino dove due demoni invisibili vigilavano sulla porta sin da quando il giardino era stato edificato...
Dwerulas si avvicinò alla porta di bronzo e malachite mentre uno dei due demoni guardiani strisciava alle sue spalle, lui si girò un'istante fissandolo con sguardo cupo e minaccioso, solo lui poteva vederli, solo lui che li aveva evocati, il demone sorpreso sbarrò gli occhi dalla gialla pupilla felina, sbattè più volte le palpebre per l'incredulità poi chinò il capo in segno di sottomissione.
«Ben tornato padrone, nessun intruso ha invaso il giardino, io e Sushiesmezehel abbiamo fatto buona guardia...»
Dwerulas li salutò e congedò con un rapido cenno del capo e mentre loro si dileguavano lui rivolse la sua attezione alla porta del Giardino.
Era il momento.
Dwerulas fissò la porta, ne seguì a lungo con lo sguardo gli intricati bassorilievi, in quelle immagini era narrata la sua stessa storia e Adomphas non l'aveva mai neppure immaginato...
Se il re folle avesse compreso... non avrebbe mai trovato il coraggio di sollevare la vanga per colpire il negromante, le immagini narravano solo alcuni avvenimenti della vita terrena di Dwerulas ma sarebbero stati sufficienti a terrorizzare per il resto dei suoi giorni anche il più coraggioso guerriero di Zotar, ma Adomphas era folle e non si era mai soffermato a riflettere sulle immagini che istoriavano la porta, del resto ben difficilmente avrebbe potuto distinguerle con chiarezza, perchè l'anticamera del giardino era buia e solo i demoni vi si muovevano con facilità, i demoni e Dwerulas ovviamente, il re folle quando scendeva al suo Giardino portava sempre con sè una lucerna per rischiarare il cammino e con essa non aveva mai visto davvero cosa le porte narrassero e così aveva osato levare la mano contro il mago... ora quel gesto dettato dalla follia sarebbe stato punito adeguatamente con una sofferenza così terribile che nessuna tortura avrebbe mai più eguagliato... Dwerulas si sfiorò la sommità del cranio dove era ancora ben visibile l'infossatura data dal violento colpo di vanga, là dove il cranio era stato spaccato ed il cervello messo a nudo, rimaneva dopo quasi duemila anni un'orrenda cicatrice di pelle traslucida attraverso la quale si vedeva il cervello pulsare nel suo sogno di sangue, l'osso era stato rimosso ed il cervello era ora ben visibile sotto la pelle del cranio... per questo girava incappucciato, troppe persone lo avrebbero istantaneamente riconosciuto se avessero visto il suo cranio e Dwerulas non sempre voleva essere riconosciuto...
Dwerulas fissò la porta ancora una volta poi si decise e modulò l'incredibile combinazione di suoni non umani con estrema semplicità, quegli stessi suoni che tante volte avevano messo a dura prova le corde vocali del re folle, sgorgarono invece con estrema naturalezza dalle labbra vizze e rugose del mago, quei suoni erano in una lingua che Dwerulas conosceva bene e con essa comandava i demoni e parlava alle pietre...
Nonostante il lunghissimo intervallo dall'ultima volta in cui la chiave sonica era stata modulata, la porta si schiuse istantaneamente sul giardino da tempo in attesa, ruotando sui suoi cardini senza il minimo cigolio, e con leggerezza e decisione Dwerulas si inoltrò all'interno.
Questo capitolo, scritto tra ottobre 94 e giugno 96 costituisce il primo capitolo del seguito de Il Giardino di Adomphas ed è, seguito previsto in 4 capitoli ma che probabilmente finirà per allungarsi più del previsto...