Cornelius osservò freddamente il margravio Gherardo di Wuttemberg. La stanza era piena fino all'inverosimile di vecchi tomi polverosi dalle pesanti copertine di bronzo, di astrolabi, alambicchi e di innumerevoli strumenti magici di eterogea provenienza, alcuni dei quali giacevano sotto uno spesso manto di ragnatele. Sul tavolo che divideva i due erano poggiate tre cose: una scacchiera dai pezzi d'avorio, scolpiti in strane fogge non-umane, un libro dalla copertina di pelle rosicchiata dai vermi ed uno strano scettro, dall'aspetto dubbio ed odioso, che tradiva la sua origine di femore umano.
Il vecchio Cornelius era irato ed i suoi occhi cisposi, nascosti dalle folte sopracciglia, erano affossati in due chiazze d'ombra, da cui la fiamma della candela, poggiata su un teschio privo della mandibola inferiore, traeva a tratti balenii di fiamma.
"Non vi temo Gherardo, voi siete solo un ciarlatano, siete indegno di conoscere i segreti dell'alta magia".
Gherardo afferrò la barba del vecchio negromante e la strattonò con violenza, strappandogli un mugolio di dolore.
"Vecchio, ho fatto un'offerta e non sono solito ripetere due volte le mie parole. Potrei con molta facilità fracassarti il cranio come una noce e prendermi tutto egualmente, ma voglio essere generoso. Ti ripeto ancora una volta, dammi lo scettro ed i libri dell'arabo ed io ti darò mille fiorini d'oro".
"Il tuo oro! - il tono del vecchio si fece sprezzante - Posso fabbricarne quanto ne voglio con i segreti dell'alchimia, ma se tu credi che solo l'oro conti qualcosa, sei folle! La grande opera, l'oro filosofale non è il tuo inutile metallo, è qualcosa di più grande... è la potenza!".
"Ma di quale potenza parli vecchio pazzo? Sono anni che marcisci in questa squallida tana, se tu fossi veramente potente, l'intero mondo sarebbe ai tuoi piedi e invece... ma guarda come sei ridotto, sei solo una carcassa incartapecorita in attesa della morte".
Cornelius rise ed il suo gorgoglio gracchiante destò bizzarri echi nelle pareti putride "Un simile verme vorrebbe i segreti! Vorrebbe strapparli a me che ho visto erigere le piramidi, a me che ho visto cadere Roma, a me che esisto da secoli innumerevoli!".
Si drizzò fronteggiando Gherardo e gli soffiò sulla faccia tutto il suo disprezzo, il suo alito sapeva di putredine, di carne marcita, di sepolcro e di melma di palude. L'altro si tirò indietro con una palese espressione di disgusto, poi riprese coraggio ed indicò la scacchiera: "Allora giochiamo, chi perde cederà all'altro. Io metto la mia vita in palio, tu i tuoi segreti, i tuoi libri muffiti e lo scettro".
Cornelius meditò a lungo "È una strana richiesta, tu non puoi sconfiggermi a scacchi... d'accordo, ho bisogno di sangue umano per ringiovanire il corpo in disfacimento, accetto la scommessa".
Cominciarono a giocare. Le mani nodose del vecchio si muovevano abilmente sulla scacchiera e mossa dopo mossa le risposte di Gherardo si facevano più lente. più meditate. Poi alla trentesima mossa Gherardo perse una torre ed il suo gioco cominciò a farsi convulso. La partita era ormai persa. Gherardo fissò con odio il demoniaco vecchio che si apprestava a portare l'ultimo attacco vittorioso. In un lampo la mano di Gherardo afferrò lo scettro e lo calò con tutta la sua forza sulla testa del negromante. Cornelius crollò sulla scacchiera, facendone cadere i pezzi al suolo.
"Ti ho ucciso, non sei immortale come dicevi".
Gli si accostò con un vago timore e con orrore sentì il cuore del mago che riprendeva a battere ed il corpo ne ebbe una leggera contrazione. Cornelius era solo svenuto e già stava riprendendo conoscenza.
Gherardo fu preso dalla paura più abietta e senza perder tempo legò il vecchio il più strettamente possibile e afferratolo per i piedi ne trascinò il corpo in cantina.
Quasi con gioia avvertì i tonfi della testa su tutti i tredici gradini di pietra, augurandosi che prima o poi si spaccasse, per liberarlo dall'angoscia. Arrivato alla fine della rozza scalinata avvicinò la lampada al volto di Cornelius.
La testa calva del mago era incrostata di sangue, ma il suo sguardo era vivo, gli occhi fiammeggianti lo fissavano con disprezzo.
"Io non posso morire, cosa credevi di fare?".
Gherardo si lasciò sfuggire un gemito, poi controllò affannosamente i nodi e rassicuratosi si mise a scavare una fossa nella terra battuta della cantina. Cornelius ora rideva "Fai pure, fai pure, tornerò a strapparti l'anima e mi prenderò il tuo stesso corpo...".
Gherardo era scosso da brividi, ma portò avanti lo scavo fino a che non lo giudicò abbastanza profondo, poi afferrò Cornelius e ve lo scagliò dentro "Vedremo se riuscirai a tirarti fuori da qui, dopo che ti avrò seppellito sotto due metri di terra".
"Sotto la terra le corde si disfano ed io allora uscirò fuori e non avrò pietà, continueremo la partita e ti sconfiggerò, nello stesso modo di oggi...".
Gerardo mise la mano nella scarsella e ne trasse un lungo chiodo d'argento.
"Lo vedi? Te lo pianterò nel cuore, così non potrai risorgere da questa fossa".
Un'ombra di timore passò negli occhi di Cornelius, ma l'altro non gli diede tempo di fiatare ed afferrato un sasso conficcò il chiodo nel petto del mago.
Cornelius lanciò un urlo agghiacciante, sbavando schiuma mentre il chiodo penetrava nel suo cuore, poi giacque in silenzio.
Gherardo ricoprì accuratamente la fossa con delle assi di legno e la seppellì sotto due metri di terra, battendola bene per evitare che si scoprisse l'improvvisata sepoltura.
Poi salì al piano superiore ed afferrò i libri del mago e lo scettro, facendo un fagotto di tutto, ed infine gettò in terra la candela ed uscì in fretta per riattraversare la palude, mentre alle sue spalle la catapecchia del mago cominciava a bruciare rabbiosamente, levando un fumo nero, spesso ed oleoso.
Passarono molti anni. Gherardo con i segreti carpiti al negromante, divenne immensamente ricco, si costruì un nuovo palazzo, pieno di arredi preziosi, rammollendosi nel vizio, sempre circondato di giovani donne, per saziare il suo morboso desiderio di piacere. Quando quegli svaghi non gli bastarono più, cominciò ad attirare al suo palazzo giocatori di scacchi, con la lusinga di immense ricchezze in caso di vittoria e di morte in caso di sconfitta.
Pochi riuscirono a batterlo e quei pochi che osarono farlo erano in massima parte miserabili straccioni, spinti dalla miseria a rischiare la loro inutile vita in cambio della speranza di un'incerta ricchezza. Essi furono tutti compensati in oro, oro fuso, versato direttamente nelle loro gole...
Poi un giorno vi fu un terremoto, che seminò il panico nella regione. Molte case furono rase al suolo, immani crepacci si aprirono un pò dovunque ed uno di questi si aprì sotto le macerie della catapecchia di Cornelius, nella palude ad est della vicina città.
Nello sconvolgimento la cantina fu devastata ed il corpo del mago sprofondò di alcuni metri. Sotto il peso della terra e delle assi marcite il chiodo d'argento sgusciò fuori dal petto incancrenito e gli occhi di Cornelius si spalancarono nell'oscuro ed umido abbraccio della terra. I legacci, consumati dall'umidità e dal lavoro dei vermi, non trattenevano più le braccia del mago ed egli cominciò a scavare la terra con le unghie.
Il palazzo di Gherardo non fu minimamente colpito dal sisma ed egli non sospettò che a causa di esso il suo strapotere fosse giunto al termine. Un giorno, circa due anni dopo lo sconvolgimento tellurico, si presentò un nuovo sfidante, un vecchio con indosso un mantello stracciato e con la testa coperta da un ruvido cappuccio.
Gherardo guardò il vecchio con fare irridente "Vuoi giocare con me? Ma sei vecchio, anche se vinci che te ne faresti dell'oro? Non vivresti tanto a lungo da poterlo spendere".
L'altro non rispose e si accomodò davanti alla scacchiera ingioiellata. "Sei di poche parole, vero? D'accordo a te la prima mossa".
Gherardo ricordava ancora vagamente la maledizione dello stregone "...concluderemo la partita e ti sconfiggerò nello stesso modo di oggi". Cornelius allora aveva giocato con le figure nere e Gherardo per evitare che uno dei suoi sfidanti fosse lo stregone - anche se dubitava di una sua possibile resurrezione - dava a tutti il bianco, affinchè "quella" partita non potesse ripetersi. Questo aveva consentito che qualche sfidante, approfittando del leggero vantaggio della prima mossa, lo sconfiggesse, ma Gherardo in quelle poche occasioni aveva regolarmente "pagato" la posta, ampiamente ricompensato dalle urla dei vincitori costretti ad ingoiare l'oro fuso. Il vecchio incappucciato si mise a giocare e Gherardo, distrattamente, portò avanti la partita quasi con disinteresse, non capiva che cosa spingesse il suo avversario a rischiare la vita per il miraggio di una ricchezza che non avrebbe di certo potuto godere.
Alla trentunesima mossa Gherardo perse una torre ed il gioco si fece convulso, egli guardava la posizione dei pezzi con una strana sensazione d'irrealtà, gli era familiare ed al tempo stesso estranea, guardava il vecchio immerso in una silenziosa meditazione e sempre più si accentuava l'impressione di deja vu...
Improvvisamente si accorse del matto imminente. Inutile continuare a giocare, tanto valeva ammettere la sconfitta e pagare il "fortunato" vincitore. "Hai vinto, non so come, ma hai vinto. Avrai il tuo premio in oro e farò in modo che tu possa godertelo fino all'ultimo grammo".
Il vecchio scosse la testa con una risatina acida. "Il tuo oro! Se credi che solo l'oro conti qualcosa sei un folle! Non è l'oro che voglio, è altro, e tu sai bene che cosa - indicò la scacchiera - Guarda, guarda bene la posizione dei pezzi, la riconosci?".
Gherardo guardò e davanti ai suoi occhi si sovrappose il ricordo di un'altra scacchiera, solo i colori erano scambiati, ma i pezzi occupavano le stesse case di allora.
"Tu... Cornelius..." sbarrò gli occhi boccheggiando in preda ad un terrore blasfemo. Lo sconosciuto si aprì il mantello, mostrando il petto scarno e verminoso, al centro del quale spiccava un foro mal rimarginato da cui si staccavano brandelli di carne putrefatta.
"Questo è un tuo regalo di tanti anni fa e sono lieto di ricambiarti la cortesia". Ma Gherardo non lo poteva più udire, i suoi occhi erano diventati vitrei ed il pallore del volto tradiva l'avvenuta fine della sua sciagurata esistenza. Cornelius mormorò alcune frasi in una strana lingua dimenticata, poi iniziò a disgregarsi.
Il mantello ed il corpo si sfecero in un magma ribollente di cenere viscida ed untuosa ed un afrore immondo di carnaio riempì la sala vuota. Dopo pochi istanti il corpo di Gherardo rimase solo, immobile di fronte alla scacchiera su cui ancora si disfacevano alcuni brandelli di carne grigiastra.
Alcuni domestici, richiamati dal fetore immondo, accorsero nella sala e si accostarono al loro signore scuotendolo e chiamandolo ad alta voce. Poi la mano destra di Gherardo ebbe un sussulto e lui stesso aprì gli occhi fissando i suoi servi in modo strano.
"Il vecchio, dov'è andato il vecchio? E cos'è questo odore d'inferno? Signore, state bene? Parlate...".
"Va tutto bene, ora va tutto bene" Gerardo annuì sorridendo
bizzarramente "Il vecchio era il demonio, l'ho messo in fuga - i servi fecero il segno di croce - non temete ora, io sto bene".
Li congedò con un gesto della mano, poi, rimasto solo si sollevò dalla poltrona e fece alcuni passi per la sala, dapprima incerti, poi più sicuri, infine si piazzò spavaldamente di fronte ad un grosso specchio e si scrutò a lungo con un sorriso compiacente.
"Questo corpo è una meraviglia - sussurrò ghignando; s'accostò ad una finestra ad ogiva e sbirciò nella strada, dove giovani contadini conducevano al mercato le loro greggi ed i frutti del raccolto - poi... corpi nuovi non mi mancheranno mai!...".
Con questo racconto anticipo le atmosfere weird di Dwerulas ed Adomphas, anche qui il mago si vendica con grande ferocia ma molto più modestamente si accontenta di un corpo nuovo invece di aspirare ai segreti della creazione.