Matto affogato di cavallo
(pubblicato su Due Alfieri n. 7 di Luglio 1979)

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Gerald Brom, 74.393 bytes

Gerald Brom
Horse (?)


Quale sia il mio nome, se mai ne ho avuto uno, non so... per quanto cerchi di tornare indietro nei miei ricordi, sempre mi ritrovo in questa stanza, solo, dentro quattro mura imbottite. Sessantaquattro mattonelle quadrate per pavimento, contate e ricontate infinite volte, nè una di più, nè una di meno... una grata alla finestra, così in alto da non poterla raggiungere nemmeno in punta di piedi e, che il sole del tramonto (che non ho mai visto) riporta come un'impalpabile scacchiera sulla scacchiera del pavimento.
C'è una porta di fronte a me, dove da uno spioncino a volte si affaccia a spiarmi un'ombra, parlo, grido verso di essa che già svanisce come fumo, è lì o forse è solo illusione, non l'ho mai scoperto, piango, grido cercando aiuto, sperando, in attesa di una parola che mi carezzi l'anima, ma già il giorno tramonta e tenui ragnatele tessute dalle stelle si stendono fino a me, mi avvolgono, mi tolgono il respiro nel serico abbraccio fatto di stagioni perdute, si stringono, pallido sudario di lacrime di brina, spremendomi il sangue nelle vene, stringendomi le tempie come un nodo rovente, cui gli occhi tentano di sfuggire roteando all'indietro, urlo e pallide larve incrostate di lapislazzuli sfuggono dalla mia bocca riempiendo l'aria, soffocandomi il respiro, finché il buio mi avvolge e sprofondo nel torpido abbraccio di un sonno agitato e convulso.
Mi ridesto alle prime luci del mattino, quando sul pavimento si addensano al suono di eburnei flauti e di buccine ombre guerresche che lottano fra di loro con alte strida, come lime su tubi di ferro, fino alla morte. Guardo le ombre duellare ed il sangue che scorre come un mare d'ombra grigia e densa sale fino a sommergermi, io tento di sfuggire in piedi sulla mia branda che già il vincitore si appressa a strapparmi l'anima a brani con artigli di giada. Chiudo gli occhi, roteo la testa per sfuggire all'immondo contatto, mi aggrappo alla parete imbottita cercando con le unghie spuntate un'impossibile uscita, tremando con brividi di gelo dentro il midollo...
Tutto silenzio... mi volto sudato ed ansimante e già la scacchiera d'ombra, discesa dall'alto, cerca il suo amplesso con la fredda sorella... solo allora disfatto piombo disteso aspettando i raggi di brina cui non posso sfuggire...
Fortunatamente non sempre è così, a volte solo una luce grigiastra scende dall'alto con volute di fumo, la guardo cercando in essa ricordi lontani e smarriti nei gorghi degli anni trascorsi, a volte mi appaiono ambienti spettrali, stanze piene di ombre indistinte, mi osservano, parlano ed il vocio ronzante mi giunge alle orecchie come risacca del mare, come il vento d'autunno. Vedo alberi piegarsi verso di me, stormire con voce suadente, vedo caleidoscopi di colori rutilanti, il silenzio del mare... Vedo pallide cattedrali dalle colonne incrostate di morbido muschio, dove la luce filtrando a fatica dal tetto di rami intrecciati morbidamente avvolge di luce ramata un cippo coperto di rune... è dolce assopirsi, è dolce sognare di affacciarsi oltre la grata, per cogliere almeno una volta il bacio del sole che muore nel cielo screziato di malva...
A volte un ricordo si fa strada dentro me, il più remoto che io abbia del mio incerto passato: un temporale selvaggio, un'orgia di lampi, tuoni, scrosci di pioggia ruscellante, l'urlio del vento, straziante come un coro di anime perdute... tutto questo io lo rivivo tremando raggomitolato nel mio letto, mordendo il cuscino fino a sentire le gengive doloranti, seppellendo il viso per sfuggire al ricordo che è dentro di me.
Cupi bagliori di sangue rovente mi bruciano gli occhi, accecandomi, lasciandomi dentro l'immagine di grappoli di sfere dorate, che si scindono senza fine, diventando milioni...
Nelle orecchie l'assordante mugghiare del vento, poi... l'acqua!
Fredda, gelida, bruciante, mi scorre addosso, mi impedisce di vedere, mi soffoca... ad essa tento di sfuggire sollevando la testa per cercare l'aria, boccheggiante come un pesce scagliato via dall'abbraccio del mare.. di colpo silenzio... buio... nulla!
Cerco sul mio corpo le umide tracce della bufera, niente, solo il sapore salato delle lacrime che mi rigano il volto... Distorta e spezzata tra le lacrime vedo la grata della finestra, oltre la quale c'è il Fuori, la fuga verso l'ignoto, verso il passato...
Mi alzo, tendo le braccia... troppo alto per me! Di nuovo lo sconforto, la disperazione mi assalgono, mi irridono per la mia inutilità; si burlano di me, ridono le ombre che si assiepano attorno godendo della mia sconfitta...
Poi ancora una volta gli incubi, che mi lasciano stremato e molle come se le mie ossa fossero acqua, a guardare la luce farsi strada a poco a poco tra le tenebre, dissolvendole come fumo...
Non resisto più, devo sapere cosa c'è fuori... ho spiccato due, tre, dieci salti, poi alla fine ho sentito le mie dita chiudersi sulle sbarre, mi sono sollevato con strazio infinito, agganciandomi con le braccia alla finestra e finalmente ho guardato fuori, dove il buio della notte già si dissolve a poco a poco, lasciando l'aria tingersi di azzurro rosato. Vedo un prato fiorito, il mare crestato di soffice spuma, un cavallo trottare sul litorale lontano... non credevo che fosse così bello Fuori, non ricordavo quasi più i colori del mondo esterno, sento i miei occhi inumidirsi, ma ora c'è pace nell'anima mia, il tempo sembra volare e le braccia formicolano ma io non voglio abbandonare le sbarre...
Poi di colpo vedo un'onda crescere fino al cielo, afferrare la bestia e trascinarla con sè, quella si dibatte, sprofonda, riemerge, sprofonda di nuovo...
Grido, protendo le braccia sconvolto e le sbarre mi sfuggono, annaspo nell'aria, bizzarro uccello dalle ali tarpate, la finestra si allontana di colpo e tutto mi esplode dentro con un rosso bagliore... Gorgogliando tento di sollevarmi, di sfuggire al liquido abbraccio che mi offusca la vista e mi impedisce il respiro: un mare di nebbia mi sommerge, non posso alzarmi, ascolto un rumore di passi, clamore, silenzio, vocio, silenzio... notte... umido vischioso... silenzio... notte senza fine...

Non ho coscienza del tempo trascorso, riemergo alla realtà del tempo presente come da un tunnel buio ed indistinto, dopo eoni di corsa affannosa; la luce del giorno irrompe dall'alto, coprendo di nebbia dorata tutto l'ambiente, mi sollevo lentamente facendo turbinare l'aereo pulviscolo... la porta, da sempre serrata, è ora socchiusa, invitante... posso fuggire! Fuggire? Devo ripetermi più volte questa parola, prima di comprendere che sono finalmente libero!
Qualcosa ha spezzato le antiche catene, sono libero di andare verso quel Fuori tanto a lungo sognato...
Sfioro la porta e quella si schiude in un torpido sbadiglio su un corridoio polveroso ed interminabile, cortine di ragnatele come morbide trine si squarciano al mio passaggio, avanzo quasi volando cercando l'uscita lontana... tutto silenzio! Solo l'eco dei miei passi rimbalza all'infinito tra le mura muschiose, null'altro che ricordi i rumori indistinti a volte ascoltati durante i lunghi anni trascorsi... solo oceani di verde silenzio!
Raggiungo una porta marcita, appena la tocco quella si sgretola in un turbine di schegge e lembi grigiastri di tele di ragno, mi tiro indietro un'istante, poi tutto si quieta e dorate lame di sole frugano all'interno donando bagliori di fiamma alle polveri grigie...
Esco alla luce gloriosa del sole, strizzando gli occhi abbagliati, superando con passi incerti i cumuli di macerie, poi lentamente i miei occhi si abituano e con passo sicuro raggiungo il mio posto accanto ad una rocca possente.

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La rubrica era di fantascacchi e con questo numero divenne definitivamente mia con il nome "I Sogni di Moreland".
Il racconto si basa sul termine tecnico matto affogato di cavallo e sul suo rovesciamento cavallo affogato da un matto, non a caso il matto alla fine prende posto sulla scacchiera come... cavallo!

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Il brano in background è The Fool on the Hill di The Beatles.

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