L'Altra Mano
(pubblicato su Due Alfieri n. 17 di Marzo/Aprile 1981)

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Keith Parkinson, 19.579 bytes

Keith Parkinson
The Prince of Mercenaries


Edwin contemplò la mano destra con un senso di timore e di fastidio, la sentiva estranea e mai come in quel momento percepì un odio così smisurato per qualcosa. Si può odiare una mano? Forse no, forse il solo pensarlo può sembrare sintomo di schizofrenia, ma Edwin in realtà non aveva tutti i torti, poichè la mano destra gli era realmente estranea ed ora sapeva a chi fosse appartenuta in precedenza e questo spiegava molte cose...
Un anno prima Edwin poteva essere definito un uomo felice. Scapolo ma sempre circondato di belle donne a causa della sua intensa vita mondana, era anche un buon giocatore di bridge e candidato maestro di scacchi oltre che spericolato pilota di formula 3; per un breve periodo aveva anche fatto il paracadutismo, aveva giocato a tennis e si era cimentato nel deltaplano. La mancanza di preoccupazioni finanziarie e soprattutto la gran quantità di tempo libero gli avevano dato modo di dedicarsi a tutto questo senza mai dover sentire la necessità di un lavoro di qualsivoglia genere.
Poi l'incidente... Durante una prova andò fuori pista e rimase incastrato fra i rottami. Se la cavò con una lunga serie di fratture multiple in tutto il corpo, ma per la mano destra non ci fu nulla da fare e fu necessaria l'amputazione. Poi, durante la degenza si verificò la possibilità di restituirgli la mano perduta: in un incidente stradale uno sconosciuto aveva perso la vita rimanendo stritolato nei grovigli delle lamiere di un bus precipitato in una scarpata. Come d'uso, tutto ciò che era ancora utilizzabile della vittima venne inviato ai vari ospedali specializzati in trapianti con la massima celerità. Tra i vari sacchetti sterilizzati ve ne era uno contenente una mano destra.
Edwin riebbe una mano destra... Le tecniche di trapianto erano notevolmente evolute e del resto l'altissima compatibilità fra i tessuti facilitò l'intervento. Fin qui nulla di straordinario. Nessuno potè in un primo momento identificare il donatore, così le impronte digitali della mano vennero inviate alla Banca Mondiale delle Identità per essere confrontate con i miliardi di impronte depositate, mentre Edwin rimase in attesa di conoscere il nome del suo ignoto donatore. Fu dopo appena un mese che la nuova mano cominciò a dare motivo di apprensione e ciò accadde nel corso di una partita a scacchi.
Edwin per abitudine muoveva i pezzi indifferentemente con l'una o con l'altra mano, pur tuttavia notò presto che la mano destra manifestava una certa indipendenza rispetto all'altra, ovvero, egli pensava una mossa, quella che a suo avviso sembrava la migliore, ebbene, con la mano sinistra la effettuava senza difficoltà, invece la destra a volte giocava una mossa completamente diversa e di difficile comprensione. Edwin cercò d'imporre la sua volontà alla mano riottosa, ma era inutile.
Ovviamente non potendo prevedere gli scopi di certe mosse effettuate con la mano estranea, finiva per perdere le partite se faceva le mosse anche con l'altra. A titolo di esperimento fece giocare un'intera partita alla mano ribelle e pur senza comprendere tutti i tatticismi, ammirò con stupore crescente una serie di brillanti e sofisticate combinazioni d'altissimo livello che si conclusero con una chiave di matto di eccellente fattura.
Ormai non c'erano più dubbi, la mano giocava meglio di lui, molto meglio...
Inizialmente trovò divertente l'idea di poter vincere con facilità la maggior parte dei suoi avversari e per meglio sperimentare la sua forza di gioco partecipò, o meglio fece partecipare la mano destra ad un torneo di promozione. Vinse tutte le partite e divenne maestro. Ormai era chiaro che la mano era ad un livello di gioco molto superiore. Partecipò all'Olimpiade pattando solo contro due grandi maestri internazionali. Accertato il livello, restava il fatto del perchè ciò accadesse e questo era per lui inspiegabile. Ben presto lo stupore ed il divertimento si trasformarono in odio, timore, senso di fastidio. Passava lunghe ore a contemplare la sua mano e col passare del tempo cominciò a sentirla sempre più estranea. Per riacquistare la sua serenità giunse a negare alla mano destra di giocare, effettuando le mosse solo con la sinistra, ma preferì rinunciare quando si accorse che la mano ribelle fremeva per la forzata inattività, si apriva e si stringeva a pugno come in preda ad un crescente nervosismo, mentre i tendini sul dorso si tiravano come corde di violino e le nocche diventavano bianche. Durante una di queste partite si passò la mano sulla fronte per asciugarsi il sudore e la ritirò con le unghie sporche di sangue. Giustificò le unghiate sulla fronte con il nervosismo, ma da quel momento il suo timore divenne terrore. La mano voleva giocare e, lui lo sentiva, era pronta ad uccidere in caso di rifiuto.
La fece partecipare ad un torneo magistrale e quella vinse.
Mentre saliva sul podio per ritirare la grossa coppa e l'ingente assegno, Edwin non mostrava gioia, ma solo profonda preoccupazione e gli applausi fragorosi erano per lui solo un odioso rumore di fondo. Ma se lui ne era infastidito, la sua mano al contrario ne era soddisfatta, stringeva la coppa con voluttuosità, sollevandola in aria ed agitandola per salutare il pubblico. La mano amava gli scacchi, lui cominciò ad odiarli con tutta la forza e decise freddamente di non giocare più una sola partita.
La sua decisione durò poco. Dopo appena un mese fu costretto a partecipare ad un nuovo torneo per evitare guai maggiori, non gli piaceva come la mano accarezzava i coltelli di cucina...
Così passò un anno dall'intervento. Edwin era costretto a lunghi viaggi per partecipare ai più importanti tornei internazionali, infatti la mano era diventata esigentissima ed insisteva per misurarsi solo con i più quotati avversari. Edwin rinunciò alle partite amichevoli al vecchio circolo, la mano non le gradiva.
Rinunciò al bridge ed all'automobilismo, la mano voleva solo una scacchiera di fronte a sè. Finì per diventare schiavo di quelle cinque dita. Interminabili e noiosissime partite a scacchi d'alto livello, combinazioni raffinate ed incomprensibili e lui, con l'aria assente, a seguire distrattamente quell'odiosa appendice del suo corpo. Le riviste scacchistiche di tutto il mondo si dilungarono in interminabili articoli su di lui. "Il campione dormiente", lo chiamarono, giocava ma sembrava pensare ad altro, sembrava disinteressarsi della partita mentre in realtà il suo gioco era sempre vigile ed attento.
Sospettarono che il suo comportamento fosse solo una tattica psicologica per dare all'avversario una falsa sicurezza e per poi stroncarlo più duramente nel corso della partita.
Nessuno invece sospettò la verità. Un anno di tornei che per Edwin fu un anno d'inferno. Coppe e trofei si succedevano, ma lui non provava gioia. Così quel pomeriggio Edwin contemplava la sua mano nuova con un senso di fastidio, perchè ora sapeva a chi era appartenuta fino ad un anno prima. Sul tavolo c'era una lettera aperta della Banca Mondiale delle Identità, l'aveva ritrovata al ritorno da un lungo giro di tornei. La lettera portava la data di cinque mesi prima. Dentro solo poche righe eloquenti: "Dagli accertamenti condotti le impronte digitali risultano appartenete a Boris Piotr Vernadskij, apolide di origine russa scomparso un anno fa. I familiari sono stati avvertiti. Le impronte digitali sono state ora registrate al suo nominativo".
La mano era appartenuta ad un russo, uno slavo, e gli slavi erano da anni i più forti giocatori del mondo. Edwin chiuse gli occhi per riflettere. Il nome non gli sembrava del tutto estraneo. Si riscosse e si diresse verso la biblioteca dove conservava alcune annate di riviste scacchistiche. Non ci volle molto per trovate quello che cercava. Richiuse la rivista con un crescente senso di nausea. La mano era appartenuta ad un giovane Grande Maestro Internazionale di scacchi. La rivista ne parlava in termini altamente elogiativi, profetizzandogli la conquista del titolo di campione del mondo in un futuro ormai prossimo. Del resto le ambizioni del giovane campione erano notevoli e la sua pratica scacchistica sconfinava nella mania pura tanto da costringerlo a partecipare a quasi tutti i tornei d'alto livello e a dedicare allo studio quasi otto ore al giorno. Lui stesso, nel corso dell'intervista, aveva dichiarato che sarebbe arrivato al titolo mondiale entro cinque anni e che nulla lo avrebbe fermato, nemmeno la morte...
Nemmeno la morte... Edwin rabbrividì, Boris era morto un anno prima, ma la sua mano viveva e continuava e avrebbe continuato a giocare e a vincere fino al raggiungimento del prestigioso traguardo. Era mostruoso. Edwin andò al bagno e rigettò. Secondo i programmi dello scacchista scomparso entro tre anni avrebbe dovuto conquistare il titolo. Ancora tre anni di quella vita, e poi? Poi, lo sapeva, la mano avrebbe continuato a giocare e a vincere per conservare il titolo per chissà quanti anni ancora, e se anche lo avesse perso avrebbe giocato per riconquistarlo.
Edwin comprese la sua condanna, la scacchiera lo avrebbe portato alla disperazione, forse alla follia. La scacchiera e le trentadue dannatissime figure di legno erano la vita per la mano, ma per lui sarebbero state la morte.
Doveva fare qualcosa, ma che cosa?
Si guardò nello specchio del bagno. Aveva la barba lunga e gli occhi gonfi. Si bagnò la faccia con l'acqua gelida e poi con calma tirò fuori il pennello, la crema da barba ed il rasoio a lama libera che affilò pazientemente sulla correggia di cuoio. S'insaponò il viso e poi cominciò a radersi accuratamente. Si guardò nello specchio. La mano destra rispondeva ai suoi ordini, lo radeva senza graffiarlo; peccato che solo nel gioco non accettasse imposizioni, che solo nel gioco manifestasse quell'odiosa autonomia...
Per un attimo Edwin ebbe l'idea di afferrare il rasoio e mozzarsi la mano estranea, di liberarsi per sempre della sua scomoda presenza, ma in quell'attimo la mano ebbe come un fremito, si arrestò di colpo e poi con un gesto deciso e fulmineo si abbassò, aprendogli il collo da un orecchio all'altro. Edwin si afferrò la ferita con la mano sinistra e gorgogliando si precipitò verso la porta d'ingresso per chiedere aiuto. Crollò sul pianerottolo in un lago di sangue, davanti agli sguardi inorriditi dei vicini accorsi per il trambusto. Prima di morire ebbe ancora la visione della mano assassina che brandiva trionfante il rasoio e non potè trattenere un sorriso di compatimento per il futuro e disgraziato beneficiario di quella.
"Buon gioco!..." mormorò sputando un fiotto di sangue e poi sprofondò nelle tenebre della morte.

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La mia rubrica piaceva soprattutto per il continuo cambio di genere narrativo, dall'horror al fantasy, dal weird al fantascientifico, di sicuro ai lettori della rivista piaceva, le numerose lettere che ricevevo lo dimostrano, fu alla redazione di Due Alfieri invece che cominciava a piacere sempre meno, toglieva due pagine che avrebbero potuto occupare più redditiziamente con la pubblicità, del resto servivano più entrate per pagare gli articoli di noti esperti e chi fin dall'inizio vi aveva pubblicato senza chieder nulla (e anche pagandosi l'abbonamento) ora era solo un impiccio...

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Il brano in background è Rainbow di Tom Kristoffersen, uno straordinario musicista
che ha realizzato i midi più carichi di atmosfera che abbia mai trovato sul net.
Il brano è qui riportato con il permesso dell'autore.
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