Il Giardino di Adomphas Il tiranno Adomphas si levò stancamente dal letto e indossata una pesante veste damascata si accostò alla finestra ad ogiva nel lato orientale della sua camera da letto. Indugiò a lungo osservando le remote costellazioni dello Sciacallo e del Ghoul, poi abbassò il suo sguardo sulla città dorata di Noroc-Nai, un leggero fremere delle narici affilate come per il pesante sentore di un cadavere in decomposizione e già la sua mente infame si perdeva cercando nuove innominabili turpitudini con cui vessare la sciagurata città che da lunghi anni subiva senza osare una ribellione i suoi folli capricci. Noroc-Nai molti anni prima di Adomphas era stato un attivo centro commerciale, punto obbligato di passaggio sia per le carovane dei silenziosi mori dei deserti a nord-ovest sia per le lunghe e veloci triremi dell'arcipelago australe di Sorok, da Noroc-Nai partivano un tempo le spedizioni dei mercanti di mummie per la perduta e maledetta città innominata i cui ruderi affioravano tra le dune del deserto a molti giorni ad ovest. Poi improvvisamente tutta questa attività era svanita, le carovane cammellate avevano cominciato a spingersi più oltre disdegnando con disgusto la città di Adomphas e ben pochi osavano sostare entro le mura non sapendo se la livida alba del giorno seguente li avrebbe ancora visti in vita. Adomphas di rado lasciava la sua reggia ma le rare volte che ciò avveniva dopo poche ore dal suo ritorno invariabilmente i sacerdoti cremisi dalle inespressive maschere d'argento bussavano imperiosamente ad una casa o ad un albergo e portavano via non curandosi delle proteste dei più coraggiosi una donna di rara bellezza verso la reggia del tiranno. I pochi che osavano ribellarsi venivano dilaniati sul posto dagli artigli d'onice dei sacerdoti cremisi, contro cui nessun arma sembrava efficace. Era facile entrare in Noroc-Nai, impossibile era uscirne. Lo strapotere di Adomphas infatti poggiava su basi molto solide. Anni addietro quando Adomphas, succedendo al fratello, divenne sovrano di Noroc-Nai, cominciò presto a girare la voce che la morte del fratello era molto sospetta e che gli imbalsamatori avessero trovato nel cervello del defunto larghe aree degenerate come quelle causate dalla proibita droga N'lho. Correva anche voce che il giovane Adomphas si fosse recato a Leithè circa due mesi prima e era ben noto come Leithè fosse la città degli assassini e che solo tra le sue mura fosse possibile acquistare le spezie mortali più antiche e più rare. Noroc-Nai nella sua millenaria storia molte volte aveva assistito ad assassini di questo genere, pertanto le voci di essere l'assassino del fratello non preoccupavano Adomphas, ma la droga N'lho era proibita e il suo uso era punito con l'accecamento. La situazione cominciava a farsi insostenibile quando di fronte ad Adomphas si presentò il negromante Dwerulas, cosa si dissero i due in colloquio riservato non è certo, ma di li a poco le voci tacquero e con le voci tacquero, per sempre, coloro che si opponevano ad Adomphas. Chi fosse Dwerulas non era facile a dirsi, forse non era nemmeno del tutto umano, le braccia troppo lunghe ed ossute, la schiena gibbosa e la pelle ruvida e squamosa come quella di un rettile lo rendevano quanto mai sgradevole alla vista e ben poche persone tolleravano, eccezion fatta per il folle Adomphas, di intrattenersi con lui; di sicuro era molto vecchio forse più di quanto sia giusto, si narrava a bassa voce che egli fosse nato da una donna da lungo tempo morta e mantenuta con la magia in uno stato di non vita, fatta accoppiare con un demone evocato dal perduto mondo morto di Yooth e lì rispedito dopo l'amplesso. Certo era che Dwerulas conosceva ogni tipo di negromanzia, conosceva tutti i nomi segreti dei demoni e come farsi servire da loro, in ogni caso era certo che nella sua giovinezza egli si fosse macchiato di ogni nefandezza pensabile senza che mai nessuno avesse potuto opporsi a lui. A volte narrava ad Adomphas dei vizi proibiti di Naar, e una luce di cupidigia e di lussuria si accendeva negli occhi del tiranno, prima che questi rammentasse che Naar un tempo posta nell'estremità nord orientale del continente Zotar era da lungo tempo null'altro che leggenda, dato che il deserto l'aveva reclamata per sè da oltre ventimila anni. Poco dopo l'arrivo di Dwerulas, Adomphas si era abbandonato ad ogni più spregevole scelleratezza ed aveva sperimentato ogni più turpe vizio; a volte i cortigiani intimoriti si allontanavano dal suo cammino osservando sottovoce che il re aveva gli occhi glauchi e le pupille ridotte a punte di spilli, sicuro indizio della droga Sooh-sooh che lo stesso Dwerulas distillava per lui dal cervello dei condannati a morte, in tal caso era meglio star lontani poichè con estrema facilità egli sceglieva uno qualsiasi dei presenti per sottoporlo a trattamenti tanto disgustosi che nemmeno i sacerdoti mascherati del Dio demone Mordiggian ne avrebbero richiesto le carcasse per il pasto del Dio. Nei lunghi anni della sua tirannia Adomphas aveva quindi provato ogni vizio ed ogni scelleratezza e pertanto la noia lo opprimeva come un sudario, cominciava a disertare la camera delle torture poichè non aveva più idee originali e del resto le vittime non apprezzando la sua arte duravano sempre di meno nelle sue mani. Governare veramente era fuori discussione, il patto con Dwerulas era chiaro: ad Adomphas la certezza di continuare la sua scellerata vita tra vizi ed orgie di ogni tipo, a Dwerulas il vero potere. Indubbiamente il compito di Dwerulas era molto gravoso, in quanto Adomphas aveva provato di tutto, e solo i suoi sterminati poteri negromantici e la sua contorta fantasia potevano trovare ancora qualcosa in grado di suscitare l'interesse del folle monarca, così dopo un lungo colloquio il negromante si garantì la rinnovata fiducia di Adomphas con un nuovo micidiale progetto. "Ho bisogno di una stanza enorme, senza aperture di nessun genere verso l'esterno, con una sola porta, nei sotterranei della reggia..." "L'avrai" "A nessuno - continuò Dwerulas - all'infuori di noi due dovrà essere consentito entrarvi" "Sarò prudente, nessuno mi vedrà entrare" "L'altezza della stanza dovrà essere come due piani della reggia" "Farò cominciare immediatamente i lavori" "Niente pavimentazione ma solo terra per una profondità di dieci braccia" "Cosa fuoi farne Dwerulas?" "Lo saprete a tempo debito - s'incamminò verso l'uscita poi si girò ancora e sussurrò - coloro che faranno i lavori li voglio per me" Adomphas annuì curioso ma non osò chiedere di più. Passarono due lune, come previsto i muratori sparirono senza lasciar traccia e Dwerulas puntualmente consegnò il nuovo giocattolo al re pazzo. Adomphas ricordava tutto molto bene dato che erano passati solo due anni da allora e per la prima volta cominciava a sentirsi aggredire dalla noia, del resto per ben due anni il dono di Dwerulas lo aveva soddisfatto oltre che appagare il suo senso estetico, ma ora aveva bisogno di qualcos'altro e Dwerulas doveva provvedere, era nei patti! Si girò verso il letto dal quale si era alzato poco prima afferrò le lenzuola di raso nero e scoprì il corpo nudo della sua ultima favorita, l'odalisca Tuloneah. La donna dormiva prona, i capelli color rame sparsi sul cuscino sembravano una chiazza di sangue rappreso alla luce delle stelle, le sue braccia color alabastro si muovevano nel sonno... Adomphas rimasse a lungo a guardarla e si soffermò soprattutto sulle mani, erano molto abili quelle mani, egli ne aveva avuto molto piacere, ma erano già sei notti che Tuloneah era la sua favorita e nessuna poteva vantarsi di aver suscitato tanto a lungo l'interesse del re, ed ora anche lei gli era venuta a noia. Doveva provvedere al riguardo. Uscì dalla stanza e Dwerulas era là. Adomphas non aveva mai osato chiedere come faceva il negromante a sapere quando il re voleva vederlo e del resto preferiva non indagare... Dwerulas attendeva. "Tuloneah" disse senza emozione poi si allontanò mentre silenzioso il negromante scivolava nella stanza. Il re si recò sulla terrazza e contemplò a lungo la città addormentata, soffermando lo sguardo sui templi dalle cupole dorate, sui bassifondi da sempre sua riserva di caccia per i suoi vizi più sordidi e sul porto lontano da tempo disertato dalle lunghe triremi dei mercanti degli arcipelaghi. "Dannato Dwerulas" sussurrò con ingratitudine "io sono solo un fantoccio e chi comanda è quello sgorbio al quale non oso oppormi!" pur tuttavia doveva riconoscere che il mago aveva fatto molto per sconfiggere la noia che lo attanagliava, ma che troppo avrebbe dovuto ancora fare, i patti erano stati chiari - sogghignò beffardamente - e lui sentiva di nuovo tornare la noia come una marea scura. Il suo ultimo dono era stato splendido ma ora non aveva più l'attrattiva di un tempo... Due anni prima aveva visto per la prima volta il nuovo prodigio e ne era rimasto affascinato, mai avrebbe potuto immaginare qualcosa del genere... Al di là della porta d'ebano intarsiata d'onice c'era il rimedio per la noia regale, ma Dwerulas prima di aprire volle insegnargli il sibilo che magicamente dischiudeva il luogo incantato. Non fu facile per il re apprendere la sibilante glottale, ogni volta nel tentativo produceva una tonalità non perfettamente adeguata e Dwerulas pazientemente ripeteva il sibilo che sembrava uscire da una gola non umana, affine a quello che si diceva fosse il linguaggio dei dimenticati uomini serpe vissuti molti eoni prima nel tre volte aborrito continente di Xo-hai ora misericordiosamente sommerso nelle profondità equoree dell'oceano orientale, finalmente il re apprese la giusta tonalità e Dwerulas gli consentì di entrare. La sala era immensa e per uno strano effetto di nebbia ultraterrena non era possibile discernere le pareti o il lontanissimo soffitto, verso il fondo della sala la luminosità purpurea incupiva in un nero pulsante venato di sanguigni scintillii e verso l'indiscernibile soffitto la nebbia incupiva senza che fosse possibile capire quanto alto fosse lo straordinario locale. In alto tra la nebbia si distingueva chiaramente il motivo della strana luminosità del luogo, un globo rosso sangue, pulsante, come un minuscolo sole morente sospeso nell'aria densa, Adomphas preferiva non chiedersi in virtù di quale prodigio la sfera levitasse nell'aria, nè tanto meno osava chiedere di che cosa fosse composta, sembrava come se un frammento della morta e rossa Rigel fosse stato strappato ad essa e costretto ad illuminare con la sua muta gloria il folle giardino, poichè di un giardino si trattava oltre ogni dire. Tutt'intorno vi erano siepi e cespugli, ed alberi e felci, alberi da frutto e da fiore, ma su nessuno di essi si era mai posato l'occhio dell'uomo, ognuno di essi sembrava strappato nelle profondità stesse del regno dei morti, tali potevano essere i fiori che si specchiavano nei fiumi limacciosi dell'inferno, tali i frutti gustati dai defunti, gli arbusti erano contorti e deformi con rami scheletrici coperti di squame lucenti, pur tuttavia vi era qualcosa che attirava il morboso senso estetico del re folle, egli guardava e non capiva, poi osservò attentamente gli strani frutti e i fiori abnormi e comprese che fine avessero fatto gli operai addetti alla costruzione del giardino e soprattutto che fine avrebbero fatto gli altri di cui un giorno lui si fosse stancato... In un cespuglio si scorgevano grappoli di chicchi bianchicci come uva, ma di dimensioni enormi, come occhi... Come? Adomphas sogghignò. Erano occhi quelli che pendevano dai rami ai quali erano saldati in un modo che il re non riusciva a comprendere con i loro legamenti. Fra le fronde di palme dalle larghe foglie piumate spiccavano come noci enormi teste da cui come neri viticci pendevano barbe sviluppate in un modo non chiaro, altrove sulle sponde di un piccolo stagno spiccavano piccoli cespugli di tife, la cui parte terminale era costituita da dita e le stesse squame lucenti degli alberi intravisti prima erano null'altro che unghie strappate a quelle stesse dita. Altrove altri innesti infinitamente più osceni strapparono al re una risata gorgogliante e Dwerulas sorrise obliquamente di fronte all'interesse del re... Erano passati ben due anni da allora ed il giardino si era accresciuto di nuove sconcertanti meraviglie, Adomphas preso da vera frenesia estetica, giorno dopo giorno, aveva indicato al tre volte infame Dwerulas le persone della cui vista si era stancato e cosa di loro si sarebbe degnato di conservare per il suo giardino e Dwerulas aveva sempre fatto un ottimo lavoro... La costellazione dello Sciacallo era ormai alta nel cielo e Adomphas decise di recarsi in giardino. Da tempo tra le concubine, gli eunuchi e i favoriti di corte si parlava sottovoce del giardino sotterraneo dove il re passava gran parte della notte e dove - si diceva - svanivano senza lasciar traccia le persone di cui trovava sgradita la presenza. Nessuno del resto era mai riuscito ad aprire la porta, nè tantomeno qualcuno era riuscito a sbirciare nel locale mentre il re vi si introduceva, poichè Adomphas sibilata sommessamente la sequenza s'introduceva nel giardino richiudendo subito la porta alle sue spalle, del resto si diceva anche che l'infame Dwerulas non fidandosi del re, avesse affidato la sorveglianza della porta a due demoni invisibili con il compito di sbranare sul posto eventuali intrusi. Qualcuno aveva provato a seguire di nascosto il re, ma nessuno l'aveva più rivisto. Adomphas si accostò alla porta intarsiata, si umettò le labbra e rimase per qualche istante in silenzio volgendosi sospettosamente per vedere se qualcuno lo seguiva, poi quasi inaudibile modulò l'impossibile sequenza di suoni, come la porta si dischiuse, rapidamente s'introdusse all'interno. La strana luminosità rossastra l'accolse come le altre volte ed il re si avviò per un piccolo sentiero tra gli alberi deformi dove spiccavano rami squamosi formati da arti umani, raggiunse il cespuglio degli occhi e ne colse uno che schiacciò tra i denti, lasciando che l'umor vitreo gli colasse sulla barba, ne assaporò distrattamente il forte aroma di mango speziato frammisto al sentore aspro del liquido cristallino, poi ne sputò in terra i resti, pulendosi la barba con la manica damascata e proseguì oltre, fino allo stagno delle ninfee. Ivi giunto scostando le dita delle tife contemplò le grosse ninfee, sulle quali palpitavano i seni rosati di alcune concubine ormai dimenticate, alla fine si riscosse e si recò verso la radura degli alberi cornei, Dwerulas era già là e in terra giaceva Tuloneah immersa in un sonno innaturale. Scrutò il negromante che gli volgeva le spalle intento a scavare una profonda fossa e riflettè sul fatto che in quel corpo apparentemente gracile doveva albergare una gran forza fisica, dato che il mago mezzo gobbo e rachitico aveva portato fin lì la donna da solo, salvo che non si fosse servito di qualcuno di quei suoi demoni di cui più volte aveva richiesto i servigi. Dwerulas finito lo scavo si stropicciò le mani e guardando verso la donna immersa nel sonno oppiato si rivolse al re. "Cosa volete conservare di lei?" "Le sue mani erano molto abili - la guardò senza emozione - le sue mani mi hanno dato piacere. Sì, conserverò le sue mani. - poi aggiunse - È viva?". Dwerulas già stava afferrando un canestro poco distante e rispose rapidamente "È viva! Sapete bene che deve essere viva, altrimenti l'innesto non avrebbe esito. - poi si fermò sogghignando - Forse volete tenervela tutta?". Indispettito Adomphas scosse il capo "Fate quello che deve essere fatto, dicevo per dire." e rimase a guardare mentre il mago estraeva un seghetto di ossidiana e con due rapidi colpi recideva ai polsi le morbide mani della donna. Poi non curandosi del sangue che sgorgava dai moncherini e del breve fremito che agitava la donna rapidamente Dwerulas cosparse di resina i monconi sanguinanti e li pressò sulla pianta preparata per il nuovo innesto. Dopo aver fatto aderire le mani alla pianta cominciò inaudibilmente a bisbigliare un'invocazione in una lingua dimenticata e il bagliore dell'innaturale lampada purpurea levitante sopra le loro teste sembrò farsi più cupo, spandendo una luce rosso scuro come sangue rappreso. Finita l'invocazione tornò verso il corpo della donna ancora viva e semincosciente per scaraventarla nella fossa, affinchè con gli umori del suo corpo desse nuova vita alla pianta sulla quale come strani boccioli fremevano le sue mani. Adomphas guardava la scena, come tante volte aveva fatto in passato, ma questa volta qualcosa si agitò nel suo animo. Mai Dwerulas gli era apparso tanto spregevole nella sua deformità mentre con il corpo di Tuloneah sulle spalle si andava avvicinando alla fossa. Dwerulas era vecchio, troppo vecchio, eppure mentre lui che era il re cominciava a mostrare la sua età ormai ben oltre la maturità, il nero negromante era come il primo giorno che l'aveva visto, orrendo come allora, ma gli anni trascorsi non lo avevano minimamente cambiato. Nell'animo del re covava un sordo rancore, egli sapeva bene che un giorno sarebbe morto, ma che l'altro gli sarebbe sopravvissuto. Ma quanto era vecchio Dwerulas? Possibile che fosse davvero immortale così come i cortigiani bisbigliavano tra loro? Possibile che nulla avrebbe potuto rimandarlo all'inferno che lo aveva generato? Senza rendersene conto raccolse la zappa di cui il mago si era servito per scavare la fossa e con un rapido colpo la calò sulla testa di Dwerulas, che deposta Tuloneah era ancora chino su di lei per meglio assestarla vicino alle radici della pianta su cui aveva trapiantato le mani della donna. Dwerulas non ebbe nemmeno il tempo di percepire le intenzioni del re che già la zappa piombava sul suo cranio fracassandolo come una noce marcita ed il negromante crollò nella fossa sopra il corpo della donna. Adomphas rimase a lungo incredulo quasi timoroso che l'odioso negromante potesse rialzarsi pur con il cranio fracassato, ma tutto taceva ed egli dubbiosamente si affacciò nello scavo ed osservò lungamente il morto, intorno, sulla terra nerastra, schizzi di sangue e di materia cerebrale gli fecero comprendere che anche il nero mago era fatto di carne e sangue e che lui, proprio lui, il molle, degenerato e debosciato Adomphas era riuscito là dove chissà quanti prima di lui avevano fallito. Si sentiva liberato da un peso opprimente e malignamente sorrise... Poi riflettè che la testa del mago sarebbe stato un regale ornamento per il suo giardino e che lui, avendo tante volte osservato attentamente l'operato del tre volte infame Dwerulas, non avrebbe avuto difficoltà a realizzare un adeguato innesto, anche se non perfetto come gli altri che lo circondavano, ma un rapido esame delle condizioni dell'oggetto del suo interesse, gli fecero comprendere che le condizioni del cranio erano talmente scadenti da scoraggiare il tentativo. Un pò di malumore per il devastante risultato del suo colpo si rassegnò a sotterrare entrambi nella terra oleosa ed a pressare il tutto con rapidi colpi del suo regale piede, dopo di chè prima di andarsene si voltò ancora una volta verso il tumulo e sussurrò sarcastico "Dormi bene Dwerulas, sei in eccellente compagnia, peccato che tu non possa gustare le morbide carezze della dolce Tuloneah, ma le sue mani mi appartengono!". Passarono così molte lune e un pò per timore dei poteri mai abbastanza esplorati del nero mago ed un pò perchè il giardino non lo interessava più come un tempo, Adomphas si dedicò ad altre abominazioni, ad orgie senza fine e di nuovo la stanza delle torture risuonò delle urla strazianti dei condannati. L'uccisione di Dwerulas aveva restituito al re nuova linfa e con fervida fantasia ogni giorno andava sperimentando sempre nuove infamie sulle vittime imprigionate nelle sue segrete. In pari tempo i cortigiani si accorsero della sparizione di Dwerulas e strane voci appena sussurrate cominciarono a diffondersi inarrestabilmente. Vi fu chi assicurò di aver visto in una notte senza luna uno sciame di demoni squamosi appressarsi alla torre d'opale del mago e lui stesso a cavalcioni del più immondo tra essi volare verso terre lontane, stanco ormai della città a lungo vessata, altri dissero che era certo invece che il mago era passato attraverso una strana porta di tenebra in un luogo sito in un altro tempo ed in un'altra dimensione dalla quale forse non sarebbe mai più tornato indietro, altri infine additarono il re Adomphas come il vero responsabile della tanto sospirata sparizione. In ogni caso quale che fosse il motivo sia il mago che il re divennero oggetto di un più grande e reverente timore, dicevano infatti i cortigiani che se il responsabile era il re ancor più loro dovevano temerlo poichè se era riuscito ad uccidere Dwerulas, che tutti credevano immortale, impresa più volte tentata da molti ma senza esito, chi avrebbe mai potuto far qualcosa contro di lui? Dwerulas infatti univa alle sue non comuni abilità negromantiche una inspiegabile sensitività che sempre lo aveva salvato dalla giusta vendetta delle vittime di tanti sopprusi ed a lui, inoltre, ubbidivano ciecamente non solo dei semplici demoni, ma intere schiere, legioni di demoni, e i più temibili dei di Zotar esaudivano istantaneamente qualsiasi invocazione del mago, pertanto se nessuno aveva mai potuto far nulla contro di lui e se ciò non di meno Adomphas era riuscito là dove troppi avevano fallito, ciò significava che Adomphas era più potente dello stesso Dwerulas e che dei sconosciuti avevano posto il loro manto protettivo su di lui... Pur tuttavia se Dwerulas un giorno fosse tornato? Se la sua scomparsa fosse stata solo una temporanea assenza? Così non potendo sapere cosa in realtà fosse veramente accaduto sia l'uno che l'altro divennero oggetto di un profondo e reverente timore e nell'incertezza accondiscendevano senza fiatare ad ogni più infame desiderio del re. Padri, mariti, fratelli consegnavano al re le loro donne, ben sapendo che non le avrebbero mai più riviste, affinchè il re godesse di loro forse per poche ore, prima di farne scempio nella sala delle torture e, a capo chino e con gli occhi gonfi dalle troppe lacrime versate, lo ringraziavano per l'onore che faceva loro accettando un così infimo dono. Letterati, poeti, bardi e musici dedicavano al re i loro più raffinati ditirambi, cantandone la gloria e le gesta, poi tornati a casa e lontano da occhi indiscreti annotavano minuziosamente tutte le scelleratezze cui avevano assistito affinchè in futuro questi scritti ne rivelassero la reale natura di folle debosciato. Pur tuttavia Noroc-Nai sopravviveva anche se la speranza che presto l'inferno accogliesse il tiranno diveniva sempre più fievole, poichè il re era ancora ben saldo sulle gambe, nonostante le interminabili orgie e la vita dissoluta che conduceva. I più giovani ascoltavano increduli i racconti di quando un tempo si poteva passeggiare per le strade cittadine senza timore di sentirsi afferrare dai sacerdoti mascherati, di quando lunghe navi nere provenienti da isole lontane, cariche di spezie e merci di ogni tipo, approdavano al grande porto ora in rovina, di quando attraverso la porta del deserto sfilavano le interminabili carovane cammellate... ma ascoltavano come si ascolta una fiaba, poi ridevano sprezzanti delle fantasie dei vecchi. In questo clima di terrore e di disillusione Noroc-Nai sembrava sprofondare ogni giorno di più ma anche Adomphas non aveva motivo di essere allegro, si annoiava mortalmente e una notte finito di seviziare l'ultima sua concubina, mentre si allontanava dal tavolo di granito indugiò ad osservare i resti della sventurata e le mani di lei, bianche ed esangui, gli rammentarono altre mani... le mani di Tuloneah, che tanto piacere avevano saputo donargli e il desiderio di rivedere quelle mani ingigantì in lui sino a trascinarlo senza nemmeno rendersene conto davanti alla porta del suo giardino segreto. Più volte provò a modulare l'impossibile sequenza di suoni fino a che sentì la gola bruciargli ma alla fine la porta intarsiata si dischiuse dinanzi a lui. Aveva mosso pochi passi che si arrestò dubbioso, il giardino trasudava malignità e un odioso senso di attesa, tutto era come lo ricordava, eppure, impalpabilmente, avvertiva la presenza di qualcosa di sbagliato e malsano, il giardino abbandonato a sè stesso per tanto tempo sembrava attraversato da un senso di folle deformità. Gli alberi e le piante apparivano più contorti e deformati tra la nebbiosità quasi caligginosa dell'ambiente, anche il globulo luminoso levitante irradiava a bagliori intermittenti, e dalla superficie corrugata da spesse vene palpitanti si spandevano sul giardino sottostante chiazze di luce rosso brunastra, come sangue essiccato da anni su un tessuto impolverato. Adomphas si guardava attorno con circospezione, forse - pensava - era la presenza stessa dello stregone a dare al luogo quella sua inconcepibile vitalità e scomparso da anni il suo familiare, il giardino da tempo dimenticato aveva cominciato a corrompersi. Nella sua follia Adomphas pensò che presto, dato che anche lui aveva spesso evocato, senza rischio alcuno, demoni iperurani da lontane regioni del tempo e dello spazio, quel giardino grazie all'aiuto dei suoi neghittosi servitori sarebbe sorto a nuova vita... Adomphas ghignò pensando ad alcuni lubrici innesti che avrebbe quanto prima realizzato con la resina magica e si accostò come sempre al cespuglio degli occhi protendendo la mano per coglierne uno che sembrava quanto mai invitante, ma rotto che l'ebbe tra i denti ne sprizzò un denso liquido giallo e purulento ed il re quasi soffocato dalla nausea per il sapore alterato ed inacidito ne sputò i resti in terra strappando poi in un impeto di rabbia un intero ramo quasi a punire la pianta adulterata. Ancora una volta il re si stupì e comprese che qualcosa di troppo strano aleggiava ormai nel giardino, il ramo si era staccato dall'arbusto con un rumore di legno marcio e dal moncone colava un liquido rosso bruno, denso come resina, ma che al re appariva come sangue... Sangue dagli arbusti, sangue al posto di linfa! Adomphas si guardò intorno smarrito e con la coda dell'occhio credette di vedere un'ombra dietro le sue spalle, si girò di scatto con il coraggio datogli dalla pazzia, ma dietro di lui tutto era immobile. A tratti vedeva sdoppiato, offuscato, i contorni dei tronchi avevano l'aspetto di volti, dei volti dei migliaia e migliaia di sventurati dalle cui carcasse essi avevano tratto la linfa vitale. Forse, pensava, il liquido contenuto nell'occhio in virtù di chissà quale misteriosa alchimia si era trasformato in una droga allucinogena come certi funghi di Nook che a volte aveva assaggiato, ed ora vedeva cose che non c'erano, eppure... in un ramo contorto egli vide il volto del poeta Anthareos da lui fatto giustiziare solo perchè non aveva riso come gli altri ad una sua battuta, in un tronco ingiallito vide il profilo di Petreon il suo passato ciambellano che aveva affrontato le più orrende sevizie pur di non rivelargli dove avesse nascosto la sua bellissima figlia che lui, il re, desiderava solo per una notte. Ricordava Petreon meglio di tanti altri, ricordava l'orgoglioso dignitario ridotto ad un moncherino sanguinante trovare la forza di sputare in faccia al re, aveva infierito su di lui in tutti modi perchè cedesse, eppure quell'uomo così fragile ed esangue, attingendo chissà dove il coraggio si era troncato la lingua con i denti per sputarla con un fiotto di sangue sul volto del re per non tradire la sua creatura, per non essere costretto dalle orrende torture a dare l'unica persona a lui cara al suo folle padrone. Adomphas riviveva tutto questo mentre impietrito fissava il tronco. Per due intere lune aveva infierito sulla sua vittima arrestandosi solo quando Petreon crollava nell'incoscienza per poi cominciare di nuovo altre più abominevoli sevizie, lo aveva accecato con ferri roventi, lo aveva scorticato vivo e sulle piaghe aveva versato acido, ma Petreon non cedette ed alla fine il re sconfitto lo passò a Dwerulas per il suo giardino, e quella fu l'unica sconfitta che il pazzo tiranno dovette subire in tanti anni, la bella Leyla sfuggì alla sua avida libidine grazie a suo padre che non volle cedere al desiderio del re. Adomphas si riscosse pieno di livore da così sgradevoli ricordi e afferrato un ramo dell'albero lo spezzò di netto e ancora una volta del sangue colò dal moncone. "Sangue, ancora sangue - borbottò perplesso - ma cosa è successo nel mio giardino?". In preda a crescente preoccupazione cominciò a guardarsi intorno e sempre con la coda dell'occhio scorgeva qualcosa di scuro muoversi alle sue spalle, ma per quanto si girasse tutto appariva immobile, come in attesa... Esitando si diresse verso il cespuglio di Tuloneah ed ivi giunto respirò di sollievo, lì tutto era normale, persino la nebbia sembrava pervasa da un chiarore meno opprimente, e sul tronco all'altezza del suo volto come due gemme, come rosati boccioli di tenera magnolia vi erano le morbide mani di Tuloneah. Vi si accostò lentamente ed al suo avvicinarsi esse fremettero e si schiusero invitandolo ad avvicinarsi. Adomphas si accostò ipnotizzato dalla perfezione delle piccole mani e dal ricordo del piacere che avevano saputo donargli e dolcemente quelle gli carezzarono le guance e la folta barba, mentre Adomphas con gli occhi socchiusi si abbandonava al piacere delle esperte carezze. Rimase a lungo immobile a lasciarsi carezzare, poi stanco e desideroso di abbandonare il giardino per andare a dormire si riscosse e fece per muoversi, ma si accorse con orrore che le gambe erano come atrofizzate, come radicate al suolo, che per quanto volesse non poteva muovere un solo passo... Stava per lasciarsi prendere dal panico ma ancora una volta le carezze delle morbide mani lo distrassero dai suoi pensieri angosciosi. Rimase immobile e scrutando di fronte a se scorse per la prima volta tra le foglie un grosso grumo, un oscena fungosità simile ad un enorme cervello, cercò di capire cosa fosse e quell'abominio cominciò lentamente a fendersi lasciando affiorare qualcosa che assomigliava stranamente ad una piccola testa rinsecchita, una piccola testa umana dagli occhi chiusi celati in due profonde pozze di oscurità. Sulla sommità vi era una profonda incavatura, come fatta con un'accetta, e la crepa arrivava fino alla radice del naso. Cercò di capire, di spiegarsi cosa fosse, poi mentre le palpebre si sollevavano schiudendosi su due liquide pozze di fuoco ribollente egli riconobbe il volto del mago morto da anni. Sentì il cuore balzargli in gola e ancora una volta le mani ripresero a blandirlo con arte sapiente. Immobilizzato, terrorizzato ed in preda alla disperazione vide le labbra maligne della testa mostruosa dischiudersi per salmodiare un'inaudibile litania e tutt'intorno sentì la terra ribollire, mentre dalle fosse nascoste tra i cespugli strisciavano fuori le vittime sepolte nel giardino. Sentiva ed intravedeva con la coda dell'occhio forme d'incubo, orrendi monconi arrancare sul terreno verso di lui, teschi lebbrosi brulicanti di vermi avanzare in preda a folle bramosia, ma ancora una volta le provvide mani gli lisciarono le gote tremanti, solleticandogli con le lunghe unghie i lobi delle orecchie. Adomphas era incapace di ragionare, sentiva la sua mente in preda al terrore più abietto, eppure non riusciva a sottrarsi alle carezze delle tenere mani d'alabastro. Fissava, come si fissa un cobra, le labbra cancerose di Dwerulas impegnate nell'interminabile litania ed improvviso giunse il primo dilaniante morso... Non poteva fuggire, non poteva nemmeno girarsi per fronteggiare il folle incubo che lo stava sbranando, e uno dopo l'altro, altri s'aggiunsero, e vi era chi con le unghie spezzate gli strappava a brandelli la pelle dalle gambe e dalla schiena, chi lo mordeva, chi strisciava sulla sua schiena. Adomphas voleva urlare per lo strazio, ma la sua gola era muta, e sempre le mani si Tuloneah gli carezzavano le guancie e gli asciugavano le lacrime, poichè solo lacrimare ormai poteva il folle tiranno, e sempre le labbra incancrenite di Dwerulas recitavano l'abietta litania, poi di colpo si schiusero in un sorriso mefistofelico mentre le mani di Tuloneah si arrestarono improvvisamente e senza preavviso le lunghe unghie della concubina artigliarono i suoi occhi strappandoli dalle orbite... Adomphas in un lampo sprofondò nel buio assoluto, impazzito di dolore, dilaniato dalla progenie dell'inferno, ma prima di lasciarsi andare, riuscì ancora ad udire un frullare d'ali membranose, una folle risata di trionfo allontanarsi verso l'alto, poi si abbandonò esausto al nero baratro della morte.
Questo racconto, scritto nel luglio 1990, è un remake dell'omonimo capolavoro di Clark Ashton Smith, lo svolgimento leggermente diverso ed alcuni personaggi accennati nel corso del testo anticipano una serie di seguiti ispirati alla trama del mio remake e soprattutto un romanzo breve dedicato a Dwerulas, attualmente in corso di stesura.
Il brano in background è Asiren di John J. Holden.
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